Guerra in Iraq: Tony Blair ha mentito?

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Nella settimana in cui dagli Stati Uniti all’Italia il mondo fa nuovamente i conti con i suoi demoni di intolleranza e violenza, il 6 luglio la storia ha fatto venire al pettine alcuni degli infiniti nodi che dominano la politica internazionale. Grazie alla pubblicazione del rapporto Chilcot, sono state messe in luce una serie di “imprecisioni” relative all’entrata in guerra della Gran Bretagna in Iraq.
Sei anni dopo la decisione dell’ex premier britannico Gordon Brown di commissionare un’inchiesta per indagare le cause dell’intervento britannico in Mesopotamia, una sola parola può riassumerne il contenuto: ambiguità. Questo rapporto che si dice essere lungo tre volte la Bibbia rivela l’infondatezza legale e logica che ha spinto l’allora primo ministro Tony Blair ad affiancare gli Stati Uniti in Iraq: 179 tra i suoi soldati sono stati uccisi e danni ancor più profondi sono stati inferti alla società irachena ancora oggi costretta a pagarne le disastrose conseguenze.

La pubblicazione del rapporto Chilcot sta facendo dilagare l’indignazione britannica nei confronti di Tony Blair, al punto che il Paese pretende che il suo ex primo ministro sia processato da un tribunale nazionale o da una corte internazionale. Il rapporto Chilcot non è tuttavia un episodio isolato di denuncia a Tony Blair e al suo casus belli, già messo in questione negli anni scorsi.

Sull’onda emotiva e interventista di matrice statunitense che ha coinvolto il mondo dopo l’11 settembre, l’Iraq di Saddam Hussein è stato accusato di complicità con Al Qaeda e di essere in possesso di armi di distruzione di massa. Insieme alla Corea della Nord e all’Iran, il Paese è entrato a far parte dell’ “asse del male” teorizzato nel 2002 da Bush, che ha poi aggiunto: “Questo è un regime che ha qualcosa da nascondere al mondo civilizzato”.
Pochi giorni dopo questo discorso, è stato pubblicato il Dodgy Dossier relativo alla minaccia nucleare irachena, e Washington e Londra si sono preparate alla guerra.

Poco è importato che Saddam non avesse alcun legame con gli attentati del 2001 e che 15 dei 19 kamikaze provenissero al contrario dal paese del Golfo con cui Washington aveva da sempre un rapporto più intimo (l’Arabia Saudita). Poco è importato che già pochi mesi dopo l’intervento delle truppe occidentali a Baghdad, nessuno fosse in grado di confermare l’esistenza del Santo Graal nucleare.
“È solo questione di tempo, le troveremo”, era la vulgata politica corrente utilizzata per frenare le prime polemiche e i primi malcontenti tra la società civile americana e britannica.

Tuttavia, nel 2003 la stampa dei due paesi comincia a fare qualche passo indietro quando si scopre che sei pagine del rapporto presentato dal Segretario di Stato Colin Powell nel febbraio del 2002 come prova schiacciante della colpa di Hussein provengono dalla tesi del ricercatore Ibrahim Al-Marashi, del Center for Nonproliferation Studies in Monterey, in California. 
Il suo studio relativo alle modalità di approvvigionamento bellico di Saddam riguarda però l’Iraq della Prima Guerra del Golfo, per cui non solo la sua tesi è stata plagiata, ma le argomentazioni in essa contenute sono state anche alterate senza l’approvazione dell’autore stesso
Già all’epoca, Downing Street diventa l’oggetto di pesanti accuse da parte della società civile britannica.

Di fronte a un imbarazzo crescente tra la classe politica e la stampa, un articolo del 2004 dell’Economist scagiona Tony Blair affibbiando le responsabilità dell’intervento in Iraq agli agenti dell’MI6.
Secondo la redazione del noto magazine britannico nessuno ha intenzionalmente mentito quando ha parlato dell’arsenale nucleare di Hussein: Tony Blair non ha mentito e la stampa nemmeno.

Si è trattato piuttosto di un errore di calcolo delle spie britanniche e statunitensi, giustificato dall’atteggiamento ambivalente di Saddam Hussein, che avrebbe più volte ostacolato le indagini delle Nazioni Unite e alimentato il sospetto tra i suoi rivali occidentali.
Saddam ha le armi; Saddam ha nascosto bene le armi; Saddam non ha le armi perché se n’è sbarazzato prima dell’intervento occidentale; Saddam ci ha mentito, non è colpa dei vertici politici, bensì dei servizi segreti: questa la climax discendente che giustifica la guerra in Iraq e che vorrebbe scagionare la classe politica di Londra e Washington.

Le dichiarazioni che si susseguono negli anni sono tuttavia così ambigue che nel 2009, in concomitanza con il ritiro delle truppe britanniche dall’Iraq, il primo ministro Gordon Brown commissiona l’inchiesta che ha portato oggi alla redazione del dossier Chilcot.
E se ancora ci fosse qualche dubbio, l’inchiesta del giornalista Peter Taylor del 2013 sembra non lasciare nessun margine di giustificazione legale e logica all’intervento di Tony Blair in Iraq. Il lavoro di Taylor, illustrato in dettaglio nel documentario “The spies who fooled the world”, racconta il disastro politico che portò americani e britannici a non prendere in esame fonti attendibili che negavano la presenza di armi di distruzione di massa in Iraq, e al contrario a dar credito ad altre rivelatesi in seguito non obiettive.

Si è trattato davvero di un errore politico o di una scelta volontaria? E se sì, per quali ragioni? C’entrerà qualcosa il progetto atlantista del “Greater Middle East” teorizzato da Bush che voleva fare dell’Iraq un modello di democrazia petrolifera all’occidentale? O quest’ultimo è solo il velo che ricopre ambizioni più ampie?

Quel che è certo è che, all’epoca dell’11 settembre, Saddam Hussein non disponeva di un arsenale nucleare e, nonostante questo fosse chiaro a tutti già un anno dopo l’inizio della guerra, il primo mea culpa di Tony Blair è arrivato solamente quest’autunno in un’intervista rilasciata alla CNN, in cui tuttavia ha continuato a negare il rapporto di causa-effetto esistente tra la guerra  e la nascita di Daesh. Blair sostiene inoltre che l’Isis sarebbe nato in Siria, nonostante la sua funesta sorgente sia proprio l’Iraq rancoroso e devastato dall’invasione del 2003. 

Ma, a proposito di scuse, c’è qualcuno che sta ancora aspettando di sentirle pronunciare da George W. Bush. 

Elle Ti

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