Cervelli in fuga, capitali in fuga, migranti in fuga dal bagnasciuga
È Malincònia, terra di santi subito e sanguisuga
Il Paese del sole, in pratica oggi Paese dei raggi UVA
Non è l’impressione, la situazione è più grave di un basso tuba
E chi vuole rimanere, ma come fa?! Ha le mani legate come Andromeda!
Qua ogni rapporto si complica come quello di Washington con Teheran
Si peggiora con l’età, ti viene il broncio da Gary Coleman
Metti nella valigia la collera e scappa da MalincòniaTanto se ne vanno tutti! Da qua se ne vanno tutti!
Non te ne accorgi ma da qua se ne vanno tutti!”
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78.941. Sembra un numero tirato così a sorte, uscito da chissà quale cappello magico. Sembra un numero che non dovrebbe dirci assolutamente niente. Invece no, qualcosa lo dovrebbe suggerire: sono 78.941 volte che il nostro Paese ha fallito, 78.941 volte che un nostro connazionale ha preso una valigia ed è partito per un altro Paese, un’altra nazione.
Sono 78.941 storie di persone, tutte diverse tra loro ma tutte così uguali: dal ventenne che non ha trovato lavoro ed è andato dall’altra parte del mondo a cercare fortuna al ventiquattrenne-venticinquenne laureato di fresco in una delle nostre Università; dal quarantenne che ha chiuso bottega perché il negozio non gli dava più da mangiare all’impiegato al quale l’azienda lo ha trasferito perché qui in Italia non si produce più e all’estero conviene. Fino ad arrivare a chi, semplicemente, è stanco delle tante cose che succedono qui.
Non pensiate, però, che questo numero dica tutto: rappresenta solo la quantità di italiani che, una volta all’estero, ha deciso di registrarsi all’AIRE (a spanne, circa il 30% delle persone che effettivamente ha lasciato il Belpaese).
Nel 2011 le persone che erano andate via dal nostro paese, per una ragione o per l’altra, erano 60.635: per il primo anno l’emigrazione aveva superato l’immigrazione regolare (un fatto che era successo negli anni precedenti in Portogallo e in Spagna).
Il 44.8% di questi 78.941 immigrati calcolati oggi – percentuale drammatica – è composto da giovani: tra essi, laureati, neolaureati e dottorati. Rispetto al 2011 l’incremento è stato del 28.3%: 10.520 italiani sono emigrati in Germania, 8.906 in Svizzera, 7.520 in Gran Bretagna, 7.024 in Francia, 6.404 in Argentina, 5.210 negli USA, 4.506 in Brasile, 3.748 in Spagna, 2.317 in Belgio, 1.683 in Australia. Questi numeri, ribadisco, sono falsati dal fatto che si contano solo gli immigrati iscritti all’AIRE, che sono solo una (piccola) parte.
Si può cercare di correggere guardando quello che succede in Germania: per l’Istituto di Statistica Federale tedesco gli italiani che si sono stabiliti in Germania sono 42.167, il quadruplo rispetto a quelli registrati dall’AIRE. Rispetto al 2011 questo numero ha avuto un incremento del 40% (2011: 30.154); negli USA sono stati richiesti almeno 20.000 visti da Italiani per motivi di lavoro, mentre le richieste per il National Insurance Number del Regno Unito, indispensabile per poter lavorare (sono esclusi quindi gli immigrati che stanno facendo un dottorato) sono stati 25.000, dei quali almeno l’80% ha tra i 18 e i 34 anni. I numeri quindi sono drammaticamente da rivedere al rialzo quasi di 4 volte.
La maggior parte di questi emigranti non provengono dalle regioni più povere d’Italia, ma da quelle più ricche: ai primi cinque posti infatti troviamo tre regioni del Nord Italia: Lombardia (13.156), Veneto (7.456), Sicilia (7.003), Piemonte (6.134) e Lazio (5.952).
Molti credono che le persone emigrate negli anni precedenti siano prima o poi tornate: ci sono varie ricerche che affermano l’esatto contrario. Anzi dimostrano anche che il numero di laureati emigrati all’estero è addirittura maggiore al numero di immigrati laureati che sono venuti in Italia: al 2005 c’erano 294.767 laureati italiani all’estero, nello stesso periodo c’erano 246.295 stranieri emigrati in Italia con una laurea. La differenza è di quasi 50.000 persone.
Nel 2003 c’era stato un primo tentativo di invertire questo trend, lanciando un progetto per favorire da una parte il rientro di questi neolaureati e dall’altra l’ingresso di laureati stranieri: si sarebbero impiegati fondi statali per offrire loro uno stipendio a livello dei maggiori Stati europei. Nel 2006 il progetto è stato fermato per mancanza di fondi. Fino ad allora questa “allettante” proposta (un contratto a termine che durava per un minimo di 6 mesi ad un massimo di 3 anni) aveva portato il ritorno di 466 ricercatori, dei quali solo 300 italiani: dimostrazione che la politica non è in grado al momento di dare una risposta a questo fenomeno.
Inutile girarci attorno: poco si è fatto e probabilmente poco si farà. Qualcuno azzarda: “Sono le persone che se ne sono andate che dovrebbero tornare per aiutare l’Italia“. Sono assolutamente d’accordo: credo che tutti lo farebbero, se solo ci fosse un’opportunità.
Chiudo con due ultimi numeri, quelli più importanti: secondo l’AIRE dal 1°luglio 1990 al 2012 il numero di Italiani che ha fatto le valigie ed è scappato da Malinconia è stato di 2.320.645, dei quali 600 mila appartiene alla fascia di età compresa tra i 20 e i 40 anni. Al 31 dicembre 2012 il numero di connazionali iscritti all’AIRE era di 4.341.156. Cui vanno sommati, come si diceva prima, tutti gli emigrati non compresi in questo registro.
Alessandro Sabatino