Si gioca sabato prossimo (17 novembre) a Radés (Tunisia) il ritorno della finale di Champions League africana. Dopo il pareggio di domenica scorsa, 1-1 in terra egiziana, tornano in campo Al Ahly ed Esperance, i due principali club calcistici delle nazioni simbolo delle Primavere arabe (appunto, Egitto e Tunisia).
Affrontiamo il tema su questo sito per le sue connessioni con l’attualità. Che non sono, forse, immediatamente lampanti.
Credo che l’appassionato di calcio italiano – quello che legge Tuttosport al bar, per capirci – si figuri i campionati nordafricani di calcio in termini di campetti polverosi, stadi simili alla nostra Lega Pro, pubblico sugli spalti sparuto e certamente non organizzato. Niente è più lontano dal vero.
La scena ultras di Egitto, Tunisia e Marocco, e in misura minore anche di Algeria e Libia, è di tutto rispetto: stadi pieni, còreo spettacolari, bei cori, annessi e connessi.
Per stadi pieni, bei cori e còreo di livello intendo, per esempio, questa roba qua…
…questa roba qua…
e questa roba qua.
La scelta dei tre video non è casuale. Il primo gruppo organizzato africano, i Dragoni, è libico, e la sua fondazione risale alla fine degli anni ’80.
Se la nascita e la diffusione in Nord Africa del movimento ultras propriamente detto è degli anni 2000, il vero salto di qualità ha una data precisa: gli Ultras Alhawy espongono per la prima volta il loro striscione il 13 aprile 2007. Per chi vuole approfondire l’argomento sono in molti a consigliare il documentatissimo “Libro degli Ultras” del blogger egiziano Mohammed Gamal Beshir.
Come avviene per (quasi) tutti i mondi calcistici mediterranei, le tifoserie organizzate del Nord Africa aderiscono al modello ultras e non a quello hooligan. In particolare, il mito è quello degli ultras italiani.
Una parziale eccezione è rappresentata proprio dall’Egitto, che ha elaborato una propria estetica ultras abbastanza originale. Ma in generale simbologia, liturgia e lingua sono ripresi dall’Italia: spesso in italiano sono nomi dei gruppi, materiale, striscioni.
E murales, pazienza se con qualche ingenuità grammaticale (link).
Anche le battaglie e le parole d’ordine sono affini a quelle dei gruppi europei: libertà per gli ultras, diritto di portare allo stadio striscioni e fumogeni, lotta contro la repressione.
Né mancano gli scontri contro la polizia. Nel 2009, per esempio, si legge nel libro di Beshir che due retate delle forze dell’ordine tra gli ultras dell’Al Ahly e dello Zamalek, prima di un derby, scongiurarono un’invasione di campo programmata a sostegno della Palestina e contro l’assedio israeliano alla Striscia di Gaza.
Con gli anni la curva si afferma sempre più come uno dei (pochi?) luoghi in cui i giovani nordafricani possono fare esperienza di militanza collettiva. Se in una prima fase non vi sono ancora, necessariamente, contenuti politici definiti e comuni, lo stadio, anzi la curva, è già una sorta di palestra di contropotere e di lotta.
Con lo scoppiare delle rivoluzioni arabe l’involucro vuoto costruito in anni di militanza curvaiola si riempie di contenuto politico. La società è impregnata di impegno politico e questo collettivismo, per naturale osmosi, entra nelle curve, e ne riesce rivisitato e trasformato.
In piazza Tahrir ci sono – fianco a fianco – i White Knights dello Zamalek e gli Ultras Alhawy. In prima linea e in tregua tra loro.
La polizia carica, ma per loro è una cosa già vista. Sanno come affrontarla e non indietreggiano.
Quando l’istinto degli altri manifestanti è scappare, gli ultras danno loro coraggio.
Prima ancora, le tifoserie organizzate tunisine avevano fatto lo stesso per le strade della capitale contro Ben Ali.
L’approfondimento del ruolo e del peso del tifo organizzato nell’abbattimento di quei regimi spetta agli storici. Un paio di riflessioni, tuttavia, credo abbiano carattere di oggettività.
Primo. Il ruolo dei movimenti ultras egiziano e tunisino nell’abbattimento di Mubarak e Ben Ali è stato il ruolo tipico dei movimenti collettivi, spontanei e schierati.
Secondo. I nuovi governi hanno piena consapevolezza della potenziale forza politica dei gruppi ultras. E hanno una volontà massima di limitarne il raggio d’azione.
Per capirci, la finale di andata è stata la prima partita aperta al pubblico egiziano dai tragici incidenti di Port Said del 1° febbraio scorso: ben dieci mesi.
Come da nostra abitudine, noi di Tagli.me invitiamo i nostri lettori a esprimersi, se lo desiderano, sull’argomento.
Andrea Donna
@AndreaDonna