Il giornalismo abbocca alla fake-news (ancora)

Di fake-news ci siamo sempre occupati.
Ieri mattina qualcuno pubblica su Facebook la foto di un funerale di Stato, al quale sono presenti diversi esponenti della politica (tra cui Maria Elena Boschi e Laura Boldrini), scrivendo che quella foto è stata scattata al funerale di Totò Riina – a cui i politici, notoriamente tutti mafiosi, stanno andando a rendere omaggio.
La persona che ha diffuso la bufala ha come immagine del profilo il simbolo di un certo movimento politico: se siete bravi non devo nemmeno dirvi quale, se non siete bravi nel simbolo ci sono cinque cose, e non sono stalle.

Fino a qua nessuna novità. I grillini non sono solo una forza politica votata alla cialtroneria e alla distruzione del merito e della scienza: dietro di loro c’è un’azienda che è leader in Europa nella produzione di fake-news, nonché legata a doppio filo ai canali di propaganda nazionalisti russi.
Il fatto che membri o simpatizzanti del M5S diffondano bufale è normale quasi quanto il fatto che in America la scorsa settimana ci sia stata una strage in una scuola.

Ieri però su diversi quotidiani c’era anche un’altra notizia: quella della bambina di nove anni, di famiglia musulmana, residente a Padova, data in sposa ad un trentacinquenne che abusava di lei. La vicenda sarebbe venuta fuori durante una visita ospedaliera, a seguito della quale i medici si sarebbero accorti della violenza sessuale, e avrebbero allertato le forze dell’ordine: l’orco sarebbe stato catturato dai carabinieri, mentre la famiglia che ha “dato in sposa” la bambina sarebbe ancora a piede libero.

fake-news sposa bambina

Ora, io non so di quali risorse siano dotate le nostre forze dell’ordine, ma immagino che abbiano dovuto veramente fare un lavoro eccellente per riuscire a catturare un criminale che aveva dalla sua il vantaggio di non esistere.
Già, perché era tutto falso.
Prendetevi un bel respiro, e rileggete bene: tutto falso.
TUTTO. FALSO.
Mai esistita la bimba, mai esistiti i medici, mai esistito il centro di supporto psicologico nel quale sarebbe stata mandata; i carabinieri di Padova negano non solo di essersi mai occupati di un caso simile: negano proprio l’esistenza della vicenda.

Ovviamente il fatto che personaggi dediti allo sciacallaggio come Matteo Salvini e la redazione di Libero abbiano creduto a questa, come ad altre bufale, non è niente di nuovo – d’altra parte quando parli o scrivi per un certo tipo di pubblico non è necessario prendersi la briga di verificare le notizie: l’unica cosa a cui occorre fare attenzione è a non utilizzare pentasillabi – ma oggi siamo andati oltre, molto oltre.

La notizia della bambina di nove anni vittima di un pedofilo musulmano infatti è stata diffusa da una pletora di quotidiani italiani: Mattia Feltri ha dedicato a questa fake-news il suo “Buongiorno” in copertina su La Stampa (cambiando anche l’età del pedofilo in quarantacinque anni: tanto, inesistente per inesistente, veniva bene invecchiarlo un po’); il Messaggero ha titolato “Sposa a 9 anni: preso l’orco che la violentava”; il Secolo è persino riuscito, con giravolta dadaista, a mettere di mezzo la Boldrini; il Fatto Quotidiano, dopo aver annunciato l’apertura dell’Inchiesta, ha se non altro avuto il buongusto di scusarsi coi suoi lettori.
Si aggiungono all’elenco PadovaOggi, Il Gazzettino, Il Mattino, TGCom24 e immancabili Libero e Il Giornale.

fake-news

Su dieci (DIECI!) redazioni giornalistiche non si è trovata una singola persona che si sia presa la briga di fare una singola telefonata per verificare una notizia.
E allora sapete che c’è?
Che va benissimo che si attribuisca a Laura Boldrini e a Maria Elena Boschi la presenza al funerale di Riina; anzi, dopo sono anche andate a posare fiori sulla tomba di Provenzano e si sono fatte un selfie da inviare a Matteo Messina Denaro.
Tanto vale tutto, no?

Oggi la classe giornalistica italiana dichiara trionfalmente al grande pubblico “non c’è alcuna differenza tra noi e Napalm51, il personaggio di Crozza: anche noi siamo dei cazzari bufalari che credono alla prima stupidaggine che leggono in giro, e in mancanza di idiozie abbastanza grosse ce le inventiamo“.

Oggi è il giorno in cui l’ultimo dei grillini falliti ha mostrato di possedere esattamente la stessa quantità di deontologia giornalistica di Mattia Feltri, che scrive in prima pagina sulla Stampa: qualcosa di cui gli addetti ai lavori avevano sentore già da un po’… ma non fino a questo punto.
Ma non finisce qui, perché oggi Mattia Feltri ha pubblicato un post di scuse sul suo profilo Facebook e sulla versione online de La Stampa, in cui ammette l’errore, ma dice “la mia riflessione rimane valida, perché queste cose nel mondo succedono”. Dove? Quando? Quanto?
Non importa, succedono: l’ha deciso lui, e se proprio ci tenete alla precisione guardatevi voi le statistiche di Amnesty.
E anche se la notizia finita in prima pagina si rivela un falso clamoroso, comunque queste cose “succedono”.

Le finte scuse di Feltri lo classificano come pienamente aderente all’impianto di informazione che prende il nome di “Post-verità” (ne avevo parlato qui): la notizia è falsa, ma fa lo stesso.
Forse il blog di Beppe Grillo come canale unico di informazione di regime è quello che ci meritiamo.

Luca Romano

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