Formula 1, Heidegger e Strip Poker

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YEONGAM, COREA DEL SUD.
6 OTTOBRE 2013.
CIRCA LE QUATTRO DEL POMERIGGIO, ORARIO LOCALE.

Siamo nel vivo di una delle più strane gare cui la F1 di quest’anno ci ha permesso di assistere.
Tempo atmosferico tendente al tipico primaverile inglese (pioggerella, nubi e facce tristi) in alcuni punti del tracciato, lievemente soleggiato in altre zone.
Nessuno ci sta capendo nulla, la possibilità di tenuta delle gomme qui varia dal “chiudo gli occhi in curva e sperochemelamandibuonaoddiomio” al “mi sa che lì c’era un tornante“. La cosa già alle due e mezza del pomeriggio promette bene.

IL GIORNO PRIMA,
5 OTTOBRE 2013.
ORE 19:35

Paul Hembery, direttore sportivo Pirelli, il giorno prima a colloquio con i suoi collaboratori, guarda lontano, verso ovest, verso casa…
“Signore, abbiamo i risultati della telemetria”.

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È Teddy, il suo assistente, povero diavolo di 35 anni laureato in ingegneria meccatronica, con master a pieni voti all’MIT, bravissimo nel fare i caffè.
“E quindi?”, domanda Paul, senza voltarsi.
“Non ne veniamo a capo… è un vero casino”.
– “Ted, ti ricordi cosa ti ho detto sui coreani?”.
– “Pessima birra, occhi a mandorla ma sono diversi dai cinesi, campionato di calcio ridicolo…”.
– “No. Non quello. Quell’altra cosa”.
– “Ah, sì! Non sanno un’acca di macchine!”.
– “Esatto, mio giovane uomo di belle speranze. I coreani hanno dato il loro massimo apporto alla gloriosa industria dell’automobile quando hanno disegnato la Daewoo Matiz. Sì, proprio quella. E adesso per l’ineffabile ironia del destino, questi stessi giapponesi di seconda fascia hanno abbastanza soldi per convincere quel bacucco di Bernie [Ecclestone, patron di tutto il circus F1, nda] che il circuito che hanno disegnato per giocarci a biglie d’estate va bene anche per farci correre bolidi a 300 all’ora!”.

Paul si gira verso il suo assistente, che lo guarda di rimando con aria interrogativa. Sospira.

“Quello che cerco di farti capire, dannata nullità imberbe, è che non importa più cosa succederà con le gomme domani in gara. Quello che conta è che tutta la colpa finisca sulle spalle dei coreani! Capisci?”.

Teddy ha la faccia tipica di chi legge per la prima volta “Prolegomeni alla storia del concetto di tempo” di Martin Heidegger.

“Coreani-inetti/coreani-cattivi…?”, tenta di sintetizzare sgranando gli occhi Paul. Teddy tace, perso nei misteri della metafisica tradizionale.
“Lascia stare… scrivi questa mail a tutti i team: «I set di gomme disponibili per tutti per la gara di domani avranno questa matrice tattica: a cazzodicane. Saluti e in bocca al lupo. Firmato Paul Hembery eccetera eccetera»”.
– “Signore non credo che sia possibile…”.

– “«A CAZZODICANE», ho detto“, taglia corto Paul.

DI NUOVO DOMENICA 6 OTTOBRE
IN UN POSTO DESOLATO CHE SI AFFACCIA SUL MAR GIALLO

Il risultato di tutto ciò, come detto, è una gara del tutto imprevedibile: gomme che esplodono, piloti che si girano in mezzo alla pista apparentemente senza motivo, una Jeep Grand Cherokee in testa alla corsa, e via così.

In tutto questo, a circa due terzi di gara, inizia il vero spettacolo: le telecamere di Sky indugiano su un trenino che procede per i fatti suoi tra la quarta e l’ottava posizione: c’è Hamilton, c’è Alonso, Button, anche Rosberg; ma davanti a tutti c’è un bambino tedesco. Il suo nome è Nico Hulkenberg. Lui:

hulkenberg

Nato nel 1987, Nico ha passato gran parte della sua vita a sradicare alberi nella Foresta Nera con zio Helmut e i fratellini Hansel e Gretel. Poi un giorno decide che è pronto per la Formula 1. D’altronde i suoi amici sui carretti di legno non riescono a stargli dietro nelle discese per le colline, quindi perché no?
“Zio Helmut, io voglio andare in Formula 1!“: è un giovane Hulkenberg di 10 anni quello che parla. 
Zio Hansel, con la sua Hefe Weizen vuotata per metà, e fedele al suo metodo educativo “quelchenontiuccidetifortifica”, lo guarda negli occhi e si fa una gran risata: – “Perché no?!”, ringhia.

Così il giovane Nico oggi è qui, su una monoposto chiamata Sauber, dal nome del suo patron Peter Sauber, abile magnate svizzero che con sistemi coercitivi non esattamente limpidissimi ha riottenuto solo qualche anno fa la sua scuderia dalla BMW (che gliel’aveva comprata).
Per complessi sistemi economico finanziari (MAFIA, che ovviamente è un acronimo che significa Motorsport Autodafé For Innocent Adults), Peter nel 2010 non solo ha ottenuto di nuovo la maggioranza delle quote, ma pure che la BMW gli pagasse l’iscrizione al campionato di Formula 1 per gli anni a venire. Un fuoriclasse.

Dietro Nico ci sono i piloti sopracitati. Messi insieme ci sono miliardi di dollari in investimenti di ricerca e sviluppo, materiali costosissimi, ingaggi e via dicendo. 
Hulkenberg ha una monoposto con motore acquistato a noleggio al discount Ferrari di Lanciano Terme. 
I piloti dietro di lui compongono un quadretto (che solo a una prima occhiata superficiale potrebbe essere giudicato intimidatorio): quattro titoli mondiali, pedigree di tutto rispetto, contratti milionari, mogli fichissime, sponsor da tutto il mondo. Nico, invece, una volta ha vomitato.

Eppure per 20 giri i megacampioni dietro di lui provano a superarlo, si dannano l’anima, frenano in ritardo, sbertucciano le gomme, fanno derapate dell’Eva.
Ma niente: Hulkenberg guida con l’abilità di un vero ritardato privo di istinto di autoconservazione, tira staccate che gli fanno uscire gli occhi dalle orbite fino a toccare l’interno della visiera del casco, quando accelera gli si gonfiano le vene del collo, non parla più alla radio con il box perché si è mangiato il microfono per il nervosismo.
Per quei 20 giri Nico Hulkenberg da Emmerich, boscaiolo professionista, è invincibile, sembra Gilles Villeneuve nel Gran Premio di Spagna dell’81, quando tenne per un sacco di giri dietro di sé cinque (cinque!) piloti più veloci, tutti nello spazio di un secondo.

Ad un certo punto Hamilton sembra farcela… passa, scoreggia per la frustrazione e cerca di andarsene. Dura due curve, poi il bambino gli sta di nuovo davanti. Il campione del mondo del 2008, disorientato, chiama i box:
– “Incredibile, quello ha una trazione disumana…”.
Al box nessuna risposta, solo un breve “eh” inebetito. Stanno tutti leggendo Heidegger.

Hulkenberg arriva quarto, probabilmente piangendo come un bambino. Ci sono passioni nella vita che ti rendono molto cool e apprezzato: il calcio, le collezioni di supercar, lo strip poker. 
Altre invece quando le racconti la gente arriccia il naso, ti guarda storto e pensa “questo è uno sfigato”.
La Formula 1 da un po’ di anni è così: avevo amici che oggi non mi parlano più dopo che gli ho rivelato che la guardo abitualmente.
– “Che squadra tifi?”.
– “Che domande! Ferrari, no?”.
– “…”. [il resto è rumore di passi che si allontanano]

Quello che ha fatto il giovane Nico invece, è la dimostrazione che anche questo sport ha dei picchi di emozione incredibili. Quasi al livello dello strip poker.
Quasi. 
Giuro che mentre guardavo la TV mi è venuto naturale tornare alle grandi sfide che ho sempre visto solo nei documentari, dei vari Senna, Gilles Villeneuve, Ascari, Fangio e compagnia derapante.

Senza dover cadere in facile retorica, dalla storia di due piloti come Lauda e Hunt hanno fatto anche un film (Rush, in uscita poco tempo fa), perché facevano un mestiere emozionante, rischiavano la vita, ma era quello che gli piaceva fare.
La Formula 1 di oggi ha bisogno di questo: di giovani bimbetti un po’ incoscienti che fanno quello che gli piace perché gli piace, che non hanno paura di rischiare tutto per mantenere una posizione, che non pensano solo ai calcoli: Senna voleva vincere sempre, anche quando era più debole e rischiava di perdere il campionato. E per questo la gente lo amava, in Brasile versano ancora lacrime al suo ricordo.
Era in tutto e per tutto un uomo, che non aveva bisogno di ricorrere al viscido linguaggio politicamente corretto perché le sue opinioni fossero autorevoli.
Diceva esattamente le cose come stavano. Per fare un parallelo con la Moto GP, pensate a quello che è stato e che è ancora oggi il Sic, Marco Simoncelli.

Nico-Hulkenberg_1755544cQuello che ci vuole sono più uomini in pista, anche con i loro difetti (del tutto umani). Qualche anno fa Kubica ci aveva già fatto vedere che affezione generi un uomo vivo intorno a sé, al confronto del mestierante che ubbidisce alle direttive della FIA come un automa che rispecchi la perfezione di un sistema ben oliato.
I litigi tra Schumacher e Coulthard erano il vero pepe della competizione quando ero un ragazzino, perché non davano l’idea che tutto fosse già deciso, previsto, studiato.

La bellezza della Formula 1 è nello sguardo di quei tanti incollati al televisore perché davanti ai loro occhi sta succedendo qualcosa di imprevisto e imprevedibile, perché la realtà ancora una volta ha superato gli schemi e i paletti messi dall’uomo per imbrigliarla, per illudersi che sia roba sua. Come diceva Montale in  Prima del viaggio: “E ora che ne sarà del mio viaggio? Troppo accuratamente l’ho studiato, senza saperne nulla. Un imprevisto è la sola speranza”.
Con buona pace di Ecclestone.

Federico Coscia  
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