Flowers of Scotland: non è indipendenza, è libertà

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Era il 23 giugno 1314, nei pressi di Stirling: 9.000 scozzesi, per lo più provenienti dalla regione delle Highlands, affrontarono sul campo di battaglia di Bannockburn 25.000 soldati inglesi. Gli inglesi erano soverchianti in numero (quasi 1 a 3) e come esperienza. Eppure gli scozzesi, guidati da Robert the Bruce (condottiero della rivolta armata contro il trono inglese), riuscirono ad avere la meglio e conquistarono sul campo di battaglia la loro libertà.

L’indipendenza dall’odiata Inghilterra i cittadini scozzesi la persero nel ‘700: prima per l’unione delle corone di Scozia e Inghilterra a seguito di matrimoni; poi per una grave crisi economica che colpì le lande del whisky e del kilt.
Eppure gli eredi di Robert the Bruce e di William Wallace (il famoso Braveheart) non si sono mai arresi: onorando la loro storia millenaria di guerrieri (la Scozia fu una delle pochissime aree dell’Europa che i Romani non riuscirono a sottomettere; anzi, dovettero costruire un muro, il Vallo di Adriano, per contenere i barbari di quelle regioni), esattamente settecento anni dopo la battaglia di Bannockburn potrebbero riconquistare l’indipendenza dall’Inghilterra (stavolta senza spargimenti di sangue).

Alex SalmondIl condottiero, questa volta, si chiama Alex Salmond (che, per citare La Repubblica, somiglia più al commissario Basettoni che a William Wallace).
Come segretario del Partito Nazionale Scozzese (SNP) è riuscito a conquistare la maggioranza dei seggi del parlamento Scozzese, e a persuadere (grazie a scioperi e manifestazioni) il primo ministro britannico Cameron di concedere un referendum per l’indipendenza della Scozia.

Ci sono reali possibilità che questo referendum vada a buon fine? L’SNP nei due anni appena trascorsi ha provato a convincere contrari ed indecisi, ed ha ottenuto la possibilità di far partecipare a questo referendum gli elettori fino a 16 anni (tendenzialmente più favorevoli all’indipendenza).
L’SNP non è un partito come la nostra Lega Nord: è anzi profondamente ispirato ai partiti socialdemocratici nordici, in linea con il tipo di l’elettorato (laburista) che in Scozia è molto radicato (soprattutto nell’area di Glasgow).

Molti scettici, contabilità alla mano, contestano a Salmond che la Scozia non potrà mai farcela da sola. Il bilancio scozzese, nonostante i luoghi comuni, è in rosso profondo, e viene salvato ogni anno dai finanziamenti provenienti da Londra (cifre nell’ordine dei 20 miliardi di euro).
È altresì vero che con l’indipendenza le tasse scozzesi andrebbero solo più alla Scozia e non all’Inghilterra, e sarebbe una cifra non indifferente.
Ma la questione più spinosa per Londra è il petrolio. Nel mare del Nord, infatti, si trovano (in acque che diverrebbero scozzesi) vasti giacimenti petroliferi e di gas naturale, che sono per la Gran Bretagna fonte di notevoli entrate. Al momento dell’indipendenza, questo petrolio diventerebbe solo e soltanto scozzese.
Si vocifera addirittura di un accordo già stipulato tra la Scozia e le Repubbliche Nordiche per lo sfruttamento e la concessione dei pozzi petroliferi all’indomani di una futura indipendenza.

La Scozia inoltre è una regione profondamente europeista, e probabilmente adotterebbe l’euro; pacifista (l’SNP vorrebbe l’uscita dalla NATO come già i loro “cugini” irlandesi) e con profonde radici socialdemocratiche: in poche parole, esattamente il contrario dei loro odiati confinanti inglesi.
La Scozia ha grandi risorse: prima di tutte il vento e le maree (se si attraversa con un aereo la Scozia, da sud verso nord in direzione Highlands, si vedono immensi campi eolici, mentre per le maree il governo scozzese ha stanziato quasi un miliardo di sterline per la realizzazione di centrali “a maree”); poi le ottime università: la Strathclyde University, per esempio (dove io lavoro) ha vinto quest’anno il premio di miglior università del Regno Unito, beffando Oxford e Cambridge, mentre l’Università di Edimburgo è considerata la sesta università europea in assoluto.

Le conseguenze sarebbero notevoli. La prima è sul piano politico: la Scozia è da sempre una grosso serbatoio di voti per il partito Laburista, e se non fosse stato per la Scozia i Tory avrebbero avuto la maggioranza assoluta nelle ultime elezioni.
Per il Labour perdere la Scozia significherebbe una grossa perdita di voti.
L’altra conseguenza sarebbe (e non solo per la Gran Bretagna) un probabile effetto domino, con l’Irlanda del Nord e il Galles che potrebbero reclamare a loro volta l’indipendenza (o l’unificazione con l’Irlanda, nel primo caso, con tutto quel che ne conseguirebbe nell’Ulster in termini di violenza – se da Londra arrivasse un diniego).
In Europa un fatto del genere potrebbe alimentare le istanze indipendentiste dei Paese Baschi (anche loro, con una “predilezione” per la lotta armata) e la Catalogna, che alterna vittorie schiaccianti dei partiti indipendentisti a momenti di pulsioni meno radicali.

Quello che è certo, come detto da un autorevole parlamentare del partito laburista, è che “se vent’anni fa la Scozia non ce l’avrebbe mai fatta da sola, ora potrebbe farcela”.
La Scozia ha il tasso di disoccupazione più basso di tutto il Regno Unito, uguale (se non inferiore) a quello dell’Austria – che ha il tasso di disoccupazione più basso d’Europa.
Quello che bisognerà vedere è se i cittadini scozzesi vorranno effettivamente staccarsi dalla Gran Bretagna (rimanendo comunque nel Commonwealth e avendo formalmente come capo di stato il monarca inglese): la tentazione di ritornare ad essere indipendenti dopo 300 anni, per questo popolo fiero e orgoglioso, è davvero fortissima.

Alessandro Sabatino
@twitTagli 

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