“Sei razzista contro gli italiani”: la retorica dell’endofobia e altre stupidaggini

Questa, tecnicamente, è propaganda – guardate come sono stilizzati gli stranieri – che accusa di endofobia l’avversario politico.

“Sei razzista contro gli italiani, ti importa più degli stranieri che dei terremotati, sei più preoccupato dei neri che dei pensionati” eccetera. Tutta quella retorica per così dire… fusariana accusa l’interlocutore di un comportamento ben preciso, chiamato “endofobia”: razzismo nei confronti di chi sta all’interno dei propri confini, o meglio ancora “razzismo nei confronti dei propri connazionali“.
L’epilogo di questa retorica è implacabile: la sinistra, favorevole all’arrivo degli immigrati, non solo non si cura dei problemi degli italiani (nell’accezione più pietistica e verace: appunto, terremotati, alluvionati, disoccupati, esodati…), ma è ipocrita (ovviamente) perché supporta una sorta di moderno schiavismo, pur di mantenere l’attuale benessere economico sulla pelle di stranieri importati quasi con la forza.

I tre punti dell’endofobia

Più nel dettaglio, la retorica dell’endofobia – che, per la verità, vanta anche esponenti con un’accettabile capacità di esprimersi e di argomentare – si basa essenzialmente su tre punti:

  1. La sinistra open borders ha un’idea mitizzata del migrante, visto per definizione come buono e come vittima; disprezza invece la popolazione italiana, vista come pigra, indolente e ignorante. L’accusa di endofobia in questi casi è esplicita.
  2. Chi è favorevole all’immigrazione sostiene poi che gli immigrati servono a pagare le pensioni agli italiani e a fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare – ovvero quelli sottopagati: questo comportamento, secondo i critici, sottintende una sorta di retorica neo-schiavista per la quale la sinistra in realtà supporta l’esistenza di lavori sottopagati e/o degradanti grazie ai quali si mantiene alto il livello di benessere delle élite.
  3. I soldi investiti nell’accoglienza e nei progetti di integrazione sono soldi che potrebbero essere reinvestiti nelle politiche sociali, per migliorare il welfare.

Dunque l’importazione di immigrati, giustificata dalla retorica di cui al punto 1. servirebbe a mantenere basso il costo del lavoro, come da punto 2, e per questo la sinistra preferisce investire sugli immigrati invece che sugli itailani, come da punto 3.

Si tratta di falsità, ça va sans dire, ma vediamo perché

Innanzitutto bisogna partire dal presupposto che la sinistra non “importa” migranti: questi si muovono da soli. A meno di non scadere nelle più ridicole teorie complottiste che vedono l’onnipotente Soros come regista occulto di movimenti migratori che coinvolgono milioni di persone, bisogna accettare il fatto che le crisi umanitarie, come la pulizia etnica in Eritrea (o negli anni ’90 in Rwanda), la desertificazione e le epidemie, causano migrazioni di massa.
Non è quindi una decisione della sinistra o della destra quella di far venire più o meno migranti: sono gli eventi sul continente africano e nel vicino Oriente a decidere per noi; ai governi occidentali spetta solo la decisione su quanti accoglierne e quanti mandarne a morire.

In questo senso la retorica degli immigrati come “vittime” è legittima: tecnicamente, lo sono. Il punto è il non-sequitur per cui gli immigrati in quanto vittime diventano tutte persone buone e desiderabili, nell’immagine mentale che la destra ha della sinistra. Ecco, non è così: tra gli immigrati sui barconi vi sono, di sicuro, un sacco di persone detestabili, e forse anche di delinquenti. Però, in uno stato di diritto lo status di delinquente lo si definisce solo ex-post, solo dopo che costui si è dimostrato un delinquente.
E comunque, anche i delinquenti hanno dei diritti umani, tra cui il diritto alla vita e il diritto a non subire trattamenti inumani o degradanti.

I migranti non sono brave persone in quanto vittime, né vittime in quanto brave persone: sono vittime in quanto fuggono da Paesi in cui sono in atto crisi umanitarie e/o da posti in cui sono accertate violazioni dei diritti umani (ad esempio, i campi di detenzione abusivi in Libia), e vanno accolti in quanto tali.

La retorica sugli italiani fannulloni e furbetti invece esiste, ma non è contrapposta a quella sui migranti: è un fattore a sé stante.
Tanto che chi ha questa retorica (e mi colloco tranquillamente nella categoria) non attribuisce solitamente gli stessi comportamenti ai francesi, per quanto l’atteggiamento della Francia sulla questione migratoria non sia molto migliore di quello italiano.

Il problema è che questa idea dell’italiano medio è basata su un certo numero di dati di fatto: ad esempio il tasso di evasione fiscale italiana, tra i più alti dell’Unione Europea; il tasso di corruzione; il fatto che le criminalità organizzate più potenti del mondo occidentale abbiano sede nel nostro Paese. Ma anche il fatto che in Italia chiunque promette politiche assistenzialiste trionfi a livello elettorale nei confronti di chi promette più lavoro e più servizi.
Se anche domani aprissimo tutti i porti, gli italiani rimarrebbero un popolo tendenzialmente di egoisti e fannulloni, seppur con molte eccezioni.

L’esercito (di schiavi) di riserva

Per quanto riguarda il punto 2 (“gli immigrati ci servono per fare lavori usuranti e sottopagati e per pagare le pensioni agli italiani”), occorre precisare innanzitutto che il discorso pensionistico è un discorso meramente demografico, e non ha nulla a che vedere col costo del lavoro, che invece è determinato dalla domanda e dall’offerta – salvo interventi regolatori dello Stato.

Esaminiamo i due punti separatamente: è un dato di fatto che la popolazione italiana è in calo e l’età media si sta alzando, ed è un dato di fatto che questo avviene (in misura minore, ma comunque avviene) anche nei Paesi dove lo stato sociale è eccellente e si fanno politiche a favore delle nascite (emblematico il caso della Danimarca).
Dire che l’ingresso di migranti tendenzialmente giovani e con una cultura sociale più incentrata sulla famiglia (invece che sull’individuo) aiuta a mantenere l’equilibrio demografico è quindi semplicemente un dato di fatto.

Per quanto riguarda la questione occupazionale, è vero che migranti abbassano il costo del lavoro? Sì, non c’è il minimo dubbio: la presenza di un numero maggiore di persone disposte a lavorare per meno denaro causa una diminuzione dei salari.
Ma questo si applica in qualunque situazione in cui vi sia più domanda di lavoro che posti disponibili, non solo quando ci sono i migranti di mezzo. Se un domani (in realtà succede già oggi in diverse parti d’Italia) la fascia più povera degli italiani accettasse di lavorare sottopagata e in nero? La soluzione sarebbe cacciarli dal paese? Non credo.
Quindi:

  • o il problema si presenta unicamente perché si tratta di stranieri (e quindi abbiamo a che fare con dei razzisti);
  • oppure semplicemente quello che manca è un intervento regolatore dello Stato che impedisca lo sfruttamento dei più disperati, italiani o stranieri che siano.

La legge sul caporalato è stata un buon passo avanti in questo – curiosamente tra chi si è espresso contro quest’ultima vi è proprio Matteo Salvini; anche la proposta di legge del M5S sul salario minimo sarebbe un’ottima cosa, se messa in atto.
Ma qui il punto è un altro: la tesi “la sinistra vuole importare gli immigrati per schiavizzarli”. Dunque, la sinistra non vuole risolvere le contraddizioni del mondo del lavoro, anzi è contraria a qualunque intervento statale per regolare il mercato del lavoro, anzi piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro preferisce istigare gli immigrati ad arrivare in Italia: il tutto, per fare macelleria sociale degli italiani e macelleria sociale e in qualche caso anche fisica di quelli che arrivano per mare e non. Curioso, come ragionamento.

Il lavoro è un gioco a somma zero?

Chi fa questi discorsi sull’occupazione, inoltre, concepisce il lavoro come un gioco a somma zero: dati 10 posti di lavoro, se ci sono più di 10 persone, alcune di esse sono destinate a rimanere senza lavoro.
Essendoci quindi un problema di disoccupazione in Italia, accogliere immigrati significherebbe peggiorare il problema.
Solo che… non funziona così!

Il lavoro non è una commodity: se ci sono 10 posti di lavoro per ingegneri e 10 persone, di cui solo 5 ingegneri, rimarranno comunque 5 persone disoccupate e 5 posti vacanti.
Se mai servisse una dimostrazione, in Italia, nonostante l’alto tasso di disoccupazione, c’è una richiesta altissima per determinate categorie di professionisti: ad esempio, nella scuola italiana sono scoperte una marea di cattedre di matematica e fisica, complice il fatto che chi ha una laurea in queste discipline solitamente leva le tende.

La presenza di immigrati, inoltre, crea posti di lavoro: dal settore socio-assistenziale dell’accoglienza, al settore giuridico per l’inoltro delle domande di asilo, all’interpretariato, alla sicurezza. Esiste un indotto lavorativo, legato all’immigrazione: non a caso l’approvazione del primo Decreto Sicurezza, che ha abolito la protezione umanitaria, oltre a lasciare 50.000 immigrati per strada, ha causato anche la perdita di migliaia di posti di lavoro tra gli italiani.
Secondo uno studio americano, il numero di posti di lavoro che l’arrivo di migranti crea nella società è di 1,2 per migrante (quindi, ogni 5 arrivi si crea un posto di lavoro per un residente).

Sì ma perché lo Stato non pensa prima agli italiani in difficoltà?

Innanzitutto, verrebbe da dire, l’ottava economia al mondo non dovrebbe scegliere, e dovrebbe essere in grado di occuparsi di entrambe le problematiche. Ma questo è un argomento debole.

La vera questione è “cosa si intende quando si chiede che lo Stato si occupi degli italiani in difficoltà?”. Se la risposta è che ci sono italiani poveri e disoccupati, allora si può ricordare che lo Stato ad esempio:

  • assegna le case popolari
  • fornisce un sussidio di disoccupazione
  • esistono le mense dei poveri
  • interviene in caso di catastrofi

Se la risposta coinvolge i terremotati dell’Emilia o quelli dell’Abruzzo, invece, la replica ovvia è che interi paesi non si ricostruiscono in pochi giorni, soprattutto in zone sismiche. E comunque, i terremotati ricevono sussidi, detassazioni e abitazioni provvisorie: non dormono all’addiaccio.
Certo, capita che ci siano inefficienze, abusi, corruzione; la risposta dello Stato a determinati problemi è a volte lenta. Lo stesso del resto succede con l’immigrazione, la cui gestione è tutto meno che una macchina ben oliata.
Solitamente chi fa queste obiezioni si aspetta che lo Stato risolva tutti i problemi dell’Italia di punto in bianco: richiesta un po’ irrealistica, tanto più che lo Stato non risolve certamente di punto in bianco tutti i problemi dei migranti.
Si limita (dovrebbe, ecco…) a non lasciarli morire annegati: da lì a “garantire una vita agiata” ne passa ancora un po’.

Chi contrappone i problemi degli italiani al problema degli immigrati solitamente non è in grado di ragionare a medio-lungo termine: esistono problemi che, banalmente, non possono essere risolti da un giorno all’altro, come quello della povertà (nonostante gli annunci di abolizione della stessa fatti da un balcone) o quello della disoccupazione; ne esistono altri che hanno soluzioni più immediate, e che hanno anche un maggior carattere di urgenza, come la presenza di qualche decina o centinaio di persone a bordo di un barcone.

In Italia non si privilegiano i problemi degli immigrati rispetto a quelli degli italiani, semplicemente si privilegiano i problemi che richiedono una soluzione immediata rispetto a quelli che richiedono soluzioni di lungo periodo.
Se in un ospedale di Torino entra un tizio, residente a Milano, con un principio di infarto, non lo fanno aspettare, anche se questo significa che dovrà passare davanti a dei torinesi con un codice verde o giallo.
Se un torinese si alzasse dicendo “eh no, non mi importa nulla se quella persona muore, sono nato in questo ospedale (o in questa città) e quindi devo passare prima io” a nessuno sfuggirebbe il fatto che si tratta di un idiota, stronzo ed egoista ai limiti del disumano – ecco, vale lo stesso per chi strilla “prima gli italiani”.

C’è correlazione tra accoglienza e endofobia?

Un altro dato indicativo per rispondere a questo argomento fallace lo si può avere comunque guardando all’estero: i Paesi che hanno i numeri più alti relativamente all’accoglienza dei migranti sono anche quelli con uno stato sociale più forte, con tassi di povertà più bassa e con percentuali di occupazione più alte (ad esempio la Svezia); al contrario, se si prende un Paese come gli USA, che ha sempre avuto politiche estremamente rigide sull’immigrazione (ulteriormente inasprite dal governo Trump), certamente non si può dire che lo Stato pensi ai più poveri, visto che il welfare è praticamente inesistente.
La correlazione tra accoglienza e endofobia è quindi palesemente da rigettare.

Ma quindi dobbiamo accogliere centinaia di milioni, se non miliardi, di africani?
Ovviamente no, i numeri non sono quelli: se ogni anno arrivassero tanti immigrati quanti nel 2015 (anno record degli sbarchi, ricorderete), e si fermassero tutti in Italia, ci vorrebbero 60 anni per arrivare al 30% di popolazione immigrata (cioè, quanto oggi è valutata nel percepito la presenza di immigrati).
Per arrivare a 100 milioni di africani servirebbero più di 3 secoli; due millenni per trasferire tutta la popolazione africana odierna in europa. Anzi: ogni anno emigra dall’Italia molta più gente di quanta ne arrivi via mare (problema che, tra l’altro, non sembra indispettire alcun governo), e, a dispetto dell’immigrazione, la popolazione europea è in netto calo.
Per quelli che sono i numeri ad oggi, c’è assolutamente spazio per tutti.

Luca Romano

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