Le elezioni siciliane, come era facile presagire, hanno molto probabilmente segnato la svolta nella politica dello Stivale e servito un antipasto dello scenario che potrebbe delinearsi alle politiche 2013.
Due i dati fondamentali che ne possiamo trarre. Il trionfo autolesionista dell’astensionismo con il paradosso della minoranza che sposta gli equilibri e la progressiva affermazione (non certo un boom) del grillismo.
Abbandoniamo però i facili entusiasmi. Se il 52% degli aventi diritto al voto non va a votare c’è poco da sorridere perché significa che il paese è debole, rinunciatario e come tale si espone a improvvisi colpi di mano.
Lo stesso si può dire del M5S primo partito della Trinacria. Prima di gridare alla novità, al vento di cambiamento chiediamoci il perché di questo exploit. E non guardiamo soltanto alla Sicilia e alle particolari condizioni in cui è avvenuta la crescita grillina ma guardiamo soprattutto al panorama nazionale dove è ormai lecito aspettarsi un successo dei grillini con conseguente ingresso in Parlamento. Siamo davvero sicuri che ci sia da gioire? La risposta è semplice, no.
Non per una pregiudiziale diffidenza nei confronti di questi piccoli rivoluzionari 2.0 quanto perché analizzando bene il M5S elementi di novità ce ne sono davvero pochi.
Abbattuto il velo dell’apparenza si scopre che il programma grillino altro non è che un coacervo di socialismo d’accatto, di ambientalismo stile verdi, di giacobinismo e forcaiolismo stile Idv e di un sapiente utilizzo di specchietti per le allodole agitati per abbindolare non gli sciocchi ma gli indecisi e i delusi.
Grillo non sta interpretando un cambiamento, è soltanto riuscito nel creare il famoso “partito degli arrabbiati” di cui spesso abbiamo sentito nelle chiacchiere da bar. Non ha fatto tutto da solo, i Fiorito, i Belsito, i Lusi, i Zambetti e i Formigoni gli hanno dato una grande mano e la distanza tra politica e paese reale ha portato tanti dalla sua parte.
Votarlo a testa bassa però, a mio avviso, resta una scelta troppo facile e scontata, se non un vero e proprio errore. Il Movimento 5 Stelle è un carrozzone nel quale Grillo gioca il ruolo di padre padrone. È proprietario del logo, del nome, del sito (che porta il suo nome, non quello del partito), prende lui le decisioni insieme a Casaleggio pur rimanendo nell’ombra (un giorno non scende in campo per coerenza, il giorno dopo è un capo politico). Impedisce ai suoi di presenziare ai talk show, scomunica chi si allontana dalla sua doxa, di fatto negando la democrazia interna che costituisce la spina dorsale dei partiti. D’altro canto però pretende di selezionare i candidati con primarie online di cui nessuno conosce il funzionamento e mira ad estremizzare la partecipazione popolare al processo politico e legislativo del paese.
Il Movimento non ha un programma socio-economico-politico serio e ragionato ma un lungo elenco di buone intenzioni che non risolvono nemmeno nel lungo periodo i problemi di questo paese. Come pretende Grillo di portare i suoi in Parlamento se poi non sa che pesci pigliare sull’occupazione, sulla crescita, sulla produzione, sull’uscita dalla crisi, sul welfare, sui rapporti internazionali?
Il fatto poi di candidare casalinghe, onesti liberi professionisti, piccolissimi imprenditori e comuni mortali non può lasciare molto più tranquilli di prima. Fiorito e compagnia prima di essere tali erano anch’essi comuni mortali. Una casalinga può avere meno tentazioni di un altro solo perché ha addosso la spilla del M5S?
L’esperienza poi servirà a qualche cosa e non si capisce come gente totalmente digiuna di politica possa fare il bene del paese o farlo meglio di chi è in Parlamento da vent’anni, con qualche privilegio di troppo, è vero, ma magari con cognizione di causa. Forse converrebbe concentrarsi più sui privilegi che non sulla longevità politica.
Il sospetto è quello che il Movimento 5 Stelle non abbia nulla di diverso da altri partiti e che quest’aura di qualunquismo demagogico che gli è stata sapientemente e scientemente cucita addosso serva soltanto a catturare voti in un paese stremato, deluso, disincantato, provato e in definitiva stanco della politica degli ultimi vent’anni. Un artifizio utile ad intercettare il voto che viene dalla pancia più che dal cervello, il voto della rabbia e dell’invidia sociale.
In definitiva Grillo non rappresenta una novità, al contrario incarna il déja vu. In Italia c’è già stato chi, inserendosi nel vuoto politico e facendo leva sul populismo e l’antipolitica ha conquistato il suo posto nel mondo. Si chiamava partito dell’Uomo Qualunque, il suo leader era un tal Guglielmo Giannini e il movimento si dissolse ben presto sparpagliando i suoi esponenti tra Msi, Partito monarchico e Partito Liberale. Segno questo che la tattica del buttarla in caciara funziona fino ad un certo punto se a questo non viene fatto seguire un progetto politico serio.
Alessandro Porro
@alexxporro