Ecco il Governo Renzi: qualche commento a caldo

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“Metà sono donne”, sbandiera Matteo appena piombato in sala stampa. Ci prova a mantenere il suo stile, tra un riferimento a Sanremo e una battuta sulla Settimana Enigmistica, ma gli tremano le mani ed all’inizio perfino la voce.
Mentana, come sua abitudine, è impegnato nel classico sequestro armato dell’intera La7, pratica in atto da un numero ormai incalcolabile di ore: accoglie il neo-Presidente con una scimitarrata che nemmeno il Feroce Saladino: “È il Primo ministro più giovane dell’Italia unita, batte per pochi mesi… Benito Mussolini”. Ecco.
Già di per sé, una crisi di governo muove un comprensibile e doveroso smottamento di commenti e approfondimenti; figurarsi se esso deriva da una crisi all’interno del primo partito della maggioranza; figurarsi se in questa crisi è implicato Matteo Renzi, nella scia impetuosa che han lasciato le primarie ed il sempiterno ed oramai estenuante congresso che non accenna ad arrivare ad un momento di sintesi definitiva. Perciò, forse, alcuni dettagli nella giornata di ieri ed in quella di oggi sono stati tralasciati. Cerchiamo dunque di mettere qualche sottolineatura qua e là.

IL TWEET – Due ore e mezza di colloquio tra il Presidente della Repubblica ed il Presidente incaricato non si sono mai viste. C’è chi giura che nelle segrete stanze quirinalizie, abituate a secoli di magnificenze ed intrighi papali, siano volati poderosi ceffoni. Difficile stupirsene, ché Re Giorgio ha già dimostrato di avere un qual certo disprezzo della sua carta di identità: il ruolo di nonno della Repubblica non sa proprio esercitarlo, e né il suo decisionismo né la sua presenza di spirito sono state minimamente attenuate dalle quasi 89 primavere. Dunque la lista di ministri non è stata semplicemente sottoposta da Renzi, ma è stata lungamente ed aspramente concertata tra il Grande Vecchio ed il discolo Matteo.
Mentre il Paese trepida e Mentana va in debito d’ossigeno, un tweet di Renzi (“Arrivo, arrivo! #lavoltabuona) dà il segnale. Giudicare come irrituale questo occhiolino telematico è assolutamente riduttivo: in molti storcono il naso di fronte a questa leggerezza, ed in effetti ci sarà qualcuno che deve abituarsi. O si abituerà Matteo, e dunque accetterà che certi momenti e certi atti impongono un rispetto della forma che non è solo apparenza ma anche sostanza, e decoro, ed educazione; oppure si abituerà il popolo, che del resto se c’è da abbassare di una tacca il livello della serietà risponde sempre “presente” con una desolante rapidità.

LA VITTORIA DI ANGELINO – Alfano fa bottino pieno. Voleva salvare se stesso, e ci riesce nonostante il clamoroso putiferio di Shalabayeva (ci ritorniamo); voleva salvare Lupi ai trasporti e Lorenzin alla sanità, e ci riesce pure qui. Il peso del Nuovo Centro Destra (parafrasando: un nano elettorale, un gigante politico) è intatto e dunque più consistente, poiché capace di resistere alla tempesta delle scorse settimane. Storicamente, i ministeri “di peso” sono cinque: esteri, interni, giustizia, finanze e salute. Ne porta a casa due. Angelino, al di là della boccuccia un po’ così, del suo passato un po’ così, del suo tirare a campare, è una bestia gramissima. Sottovalutarlo, oramai, non è più un errore, è una ammissione di inadeguatezza.

LA SCONFITTA DI EMMA – La Bonino confessa di aver appreso il suo siluramento dalla tv. Lo fa con la riluttanza di chi dovrebbe ingollare una casseruola di lumache vive; Delrio prontamente smentisce.
Il dicastero degli Esteri, in realtà, è un figlio senza madre da troppi anni. Sui perché, ci sarebbe da scrivere un trattato (che obbligatoriamente partirebbe dagli autogol berlusconiani, dalle corna del G8 in giù); fatto sta che Emma Bonino ereditava le molteplici inconsistenze di Franco Frattini e Giulio Terzi di Sant’Agata, quello – tra le altre – della brillante idea “Mandateci a casa i Marò per Natale – occhiolino – e poi tornano indietro alla Befana – doppio occhiolino“.
La Bonino era una protetta di Napolitano, che ha provato in tutti i modi a salvarla. Non ne aveva tutte le ragioni: per quell’affaruccio della signora Shalabayeva doveva pagare qualcuno, se non altro in termini di discontinuità dal precedente esecutivo. Tutti quanti han fatto finta che Alfano non ne avesse responsabilità, e dunque il cerchio si è rimpicciolito.
La defenestrazione di Emma è stato il contropiede che Matteo ha inflitto a Napolitano, il quale è semplicemente inorridito quando nella casella del Ministero della Giustizia ha scorto il nome di un Pubblico Ministero, peraltro in attività. Nicola Gratteri era un nome irricevibile da Giorgio Napolitano, conché Gratteri sia uno stimabile e stimato procuratore anti-ndrangheta; ma se si ha a cuore un minimo il principio di separazione dei poteri si capisce che è insostenibile che un rappresentante della pretesa punitiva dello Stato ricopra funzioni di organizzazione della Giustizia. Al suo posto, dopo molti anni (Alfano-Nitto Palma – Severino – Cancellieri), torna un politico: è Andrea Orlando, uomo di partito e figlio della FGC, di cui è stato presidente spezzino.
Ora, qui i casi sono due: o Matteo è un genio, e dunque la sincope causata al cuore di Re Giorgio è stata voluta per poter contrattare la Bonino; oppure Matteo è uno spregiudicato, e davvero avrebbe voluto un Guardasigilli di lotta e di governo, a scapito di tutto e di tutti.

L’ECONOMIA – Era possibile fare peggio del tweet in diretta dalle sale di colloquio? Sì, ma era difficile. Ci riesce il neoministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il quale da Sidney – non appena viene raggiunto dalla notizia – pensa bene di telefonare al Sole24Ore: “Ehi, ragazzi! Ne volete sentire una? Sono il nuovo ministro! Salsicce per tutti!”.
Era evidentemente destino che il nuovo ministro dell’Economia dovesse passare dalla benedizione di un giornale (Fabrizio Barca & Repubblica, ricordate?), e pazienza se Padoan ha sentito irresistibile il richiamo delle pagine rosate: tecnicamente, in un periodo di conclamata crisi il ministro dell’Economia (che, ricordiamo, esiste solo dal 2001: fu un’invenzione di Berlusconi, che accorpò i ministeri di Tesoro, Bilancio, Programmazione economica e Finanze) dovrebbe essere uno Zarathustra, ma Pier Carlo ci teneva a salutare i vecchi amici.
Fuor di scherzo, Padoan è una personalità di spicco del panorama mondiale: è segretario generale dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), vale a dire l’organizzazione internazionale per eccellenza sullo studio e la regolamentazione dei flussi economici mondiali. Competente, dunque, è competente. Meno spiegabile è la presidenza dell’Istat, cioè l’istituto nazionale di statistica: qualcuno ci vede la tendenza ad accumulare cariche e scranni di potere, qualcun’altro pensa che Padoan abbia preso una grana così grossa perché comunque cade in piedi – ma sicuramente non sarà né l’una né l’altra.
Come impostazione Padoan è un rigorista, con – si spera – le correzioni opportune date dall’esperienza catastrofica degli ultimi anni. È un sostenitore dell’austerity e dei sacrifici sociali, pensieri che hanno fatto sbottare il premio Nobel Paul Krugman (lo vinse a 55 anni) in un inequivocabile “Certe volte gli economisti che occupano cariche pubbliche danno cattivi consigli; altre volte danno pessimi consigli; altre ancora lavorano all’OCSE“.

I GRANDI ASSENTI – Renzi sbandiera un governo giovane ed un governo di sinistra. Detto che la media matematica è difficile da contraddire, e detto che questo governo è più a sinistra del governo Prodi II, per la furia di accorpare ministeri e ridurne il numero sono stati lasciati fuori incarichi specificamente dedicati a  Sport, Integrazione, Pari Opportunità, Politiche Giovanili.
Di fatto, comunque, mezza segreteria del PD è entrata nel governo: che poi il PD non si senta più di sinistra è un problema più da psicoterapia che da analisi politica.

LA FACCIA – C’è infine un elemento di consapevolezza, forse di umanità nella chiusura della conferenza stampa di Renzi di ieri: “Qui non mi gioco solo la carriera, mi gioco soprattutto la faccia”. Ha ragione. Abbiamo cercato di capire cosa ha spinto Renzi a questo devastante all-in, ed è innegabile che un eventuale fallimento dell’azione di governo affosserebbe qualsiasi velleità del Gian Burrasca fiorentino.
Perciò Renzi (ma anche Alfano) dovranno pedalare in maniera forsennata, anche per rispettare gli scellerati proclami di “una riforma al mese”. Prepariamoci ad un massiccio utilizzo della fiducia parlamentare: chi si siede al tavolo con poche fiches ma con la presunzione di essere un fuoriclasse deve aggredire ogni piatto.

Umberto Mangiardi 
@UMangiardi 

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