Se Rula Jebreal declina l’invito a intervenire in un programma televisivo, è perché può permettersi di farlo. Esplicitato tautologicamente: per rifiutare un invito in tv, prima quell’invito bisogna riceverlo.
In questo senso, porsi la domanda se, in quanto donna, si debba accettare o meno l’invito in una trasmissione in cui il numero di maschi appare soverchiante è un problema borghese, di chi è “già arrivata”.
Il problema a monte è un altro. È la chiusura castale del ceto intellettuale italiano. Un sistema dalla rigidità aristocratica, a cui banchettano poche migliaia di persone. Un sistema a porte girevoli, in cui a ruotare da una casella all’altra dei lavori ad alta retribuzione e ad alta visibilità sono sempre gli stessi. Un sistema regolato da tre logiche non solo elitarie, ma italianissime: raccomandazione, cooptazione e nepotismo.
Lo sa bene chiunque abbia tentato di affacciarsi al mondo del giornalismo, dell’editoria, dei mass media. L’accesso è rigorosamente su invito. I pochi posti disponibili sono cannibalizzati da chi ha il denaro per frequentare costosissimi master, diplomifici nati con il solo scopo di selezionare la classe intellettuale e dirigente fra i propri ranghi, o per protrarre negli anni una condizione di precariato insostenibile per chiunque.
La casta intellettuale funziona in modo tale che siano sempre gli stessi a dibattere di tutto, anche di ciò che non conoscono, in un inesauribile scambio di favori consentito dalla posizione di privilegio occupata da ciascuno. Che questa casta sia soprattutto maschile è vero ma del tutto ininfluente: il problema non è il suo genere, ma la sua natura elitaria, impermeabile al ricambio su basi democratiche ed egualitarie.
Come ogni casta, anche quella intellettuale, per conservarsi e sopravvivere, scende a compromessi con la qualità dei suoi membri. A contare non è la qualità dei singoli, ma la loro adesione ai valori del sistema. E se questo, mano a mano, inevitabilmente si degrada, non ha importanza, perché non esiste la controprova di un altro sistema. Nessuno può dimostrare che un altro sistema, fondato su criteri selettivi più aperti, sarebbe migliore. Merito, competenza: sono parole vaghe, soggettive, ognuno può interpretarle come gli pare.