Domande e risposte su Idomeni, là dove l’Europa muore

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A Idomeni, in Grecia, sono iniziati i lavori di smantellamento del campo profughi: 8500 migranti, 400 poliziotti, 42 autobus e 10 giorni sono i numeri di questa operazione. Al momento il trasferimento dei migranti in altre strutture sta avvenendo lentamente e senza episodi di violenza.
Ma cos’è il campo profughi improvvisato di Idomeni?

Idomeni è un paese greco sul confine con la Macedonia ed è un punto di passaggio per i migranti che vogliono raggiungere il Nord Europa. Fa parte della cosiddetta Rotta Balcanica [QUI UN NOSTRO ARTICOLO IN PROPOSITO], utilizzata in particolare da siriani, iracheni e afghani: una volta arrivati in Grecia, attraversano i Paesi dell’Ex Jugoslavia per raggiungere le loro destinazioni.
Da novembre 2015 la Macedonia decide di regolare i flussi – di fatto inizia a chiudere le frontiere ai migranti provenienti da Paesi non in guerra: quindi sì a siriani, iracheni e afghani; no a iraniani, pakistani, marocchini, bengalesi, liberiani, algerini, tunisini, libici, libanesi, congolesi, etc..

A marzo la Macedonia chiude completamente le frontiere, forte del consenso dei Paesi vicini: Slovenia, Croazia e Serbia. Da questo momento i migranti continuano ad arrivare a Idomeni e vivono dentro a tende da campeggio in condizioni poco decorose, in attesa che qualcosa cambi.
Il governo greco prova a trovar loro una sistemazione più rispondente alla dignità umana: gruppi di rifugiati vengono quindi trasferiti nei campi di Salonicco (dove c’è elettricità, acqua potabile, telefoni, bagni e cibo).
Alcuni migranti rifiutano il trasferimento presso le strutture di Salonicco: l’obiettivo della loro migrazione non è fermarsi in Grecia, ma raggiungere il Nord Europa dove hanno la famiglia ad attenderli.
Sperando nella riapertura delle frontiere o nell’intervento dei trafficanti, molte persone sono rimaste ferme a Idomeni come in un limbo: da un lato la frontiera con l’Europa chiusa e dell’altro il timore di essere riportati in Turchia.
Sono stati dei folli a non accettare l’inserimento nelle strutture di Salonicco? Dopo 40 miglia percorse a piedi per sfuggire alla guerra o alla fame, con la speranza di rivedere volti famigliari nel Nord Europa, ormai avevano poco da perdere.

La situazione di Idomeni è stata provocata senza dubbio dalla chiusura delle frontiere, ma non solo: nel settembre 2015 il Piano Juncker per l’immigrazione prevedeva la realizzazione degli hotspot [COSA SONO? NE ABBIAMO PARLATO QUI]: una prima accoglienza nei punti caldi delle rotte migratorie nei quali doveva avvenire un rapido riconoscimento del richiedente asilo. Successivamente egli poteva essere riallocato in una struttura di uno degli stati membri dell’UE e lì avrebbe potuto svolgere la procedura utile ai fine del riconoscimento.
Questo sistema di riallocazione dei richiedenti asilo era funzionale a ripartire la cosiddetta emergenza rifugiati in Europa, che di fatto fino a quel momento era stata gestita dagli Stati direttamente colpiti dal fenomeno. Quindi Grecia, Italia e Ungheria.

I Paesi membri dell’Unione Europea non hanno mantenuto la promessa e la riallocazione dei richiedenti asilo non è mai avvenuta. La Grecia, come altri Stati, si è trovata a gestire la crisi migratoria, non essendo nelle condizioni di poterlo fare se non con l’intervento economico dell’UE: che di recente ha finanziato una cifra che copre un terzo di quello che il governo greco ha speso fino ad ora per la gestione dei migranti
Il governo greco ha probabilmente tentato di gestire al meglio una situazione complicatissima e non facilmente reversibile: se le frontiere dovessero rimanere chiuse, il campo di Idomeni continuerà a essere quello che è stato fino ad oggi, un limbo tra il passaggiochiuso per l’Europa e la paura della deportazione in Turchia.

Non ci sono molte spiegazioni da chiedere al governo greco sulla gestione di questa urgenza, tranne una: perché giornalisti e volontari presenti al campo di Idomeni in questi mesi non hanno potuto restare sul posto al momento dei trasferimenti? Un portavoce del governo afferma che la loro presenza avrebbe ritardato le operazioni. Una motivazione priva di fondamenta: a vedersi negato l’accesso sono stati medici, volontari che portano cibo e acqua, soprattutto giornalisti ai quali è stato impedito di documentare.

Anzi, di domanda ne sorge anche un’altra: perché questi migranti devono essere trasferiti in un altro campo in Grecia quando l’Unione Europea ha promesso una loro riallocazione su tutto il territorio europeo?

Eleonora Ferraro

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