“Dobbiamo intervenire, se no Grillo prende l’80%”: Schifani, e quindi?

Al di là delle opinioni personali, è incontestabile che la campagna mediatica portata avanti contro  il Movimento 5 Stelle e Beppe Grillo abbia assunto intensità e proporzioni tali che riesce difficile trovare termini di paragone adeguati; infatti, pur essendo state tali campagne uno fra i tratti distintivi della cosiddetta Seconda Repubblica, la particolare virulenza di quest’ultima manifestazione è la più eclatante conferma del timore che gli astanti nutrono nei confronti del nuovo soggetto politico.

Comprensibile – e legittima – la reazione dei partiti tradizionali, per mezzo delle loro truppe cammellate (giacché ciò dimostrano di essere, una volta di più, molti giornalisti), si è concretizzata in una serie sistematica di attacchi, diventati nelle ultime settimane progressivamente sempre più frequenti ed aggressivi, metaforicamente assai simili alla gragnuola di colpi che un pugile in difficoltà rovescia sul suo avversario nella speranza di ribaltare le sorti del match, senza una precisa strategia e confidando di avere più gambe e fiato rispetto alla capacità di incassare altrui.

Dal rumore di fondo della quotidiana salva di dichiarazioni, conferenze stampa ed interviste è difficile captare qualcosa di notevole: fa eccezione, in negativo, la voce del Presidente del Senato Schifani che, ergendosi – o meglio imm-ergendosi più a fondo – sul berciare anonimo ha esortato i partiti a procedere spediti nel varo della riforma elettorale, per scongiurare il rischio di una vittoria a mani basse di Grillo, astrattamente ipotizzabile data la configurazione attuale del premio di maggioranza.

Ora: siamo ormai abituati/assuefatti a dichiarazioni ben peggiori, ma questa merita di essere analizzata con la dovuta attenzione. È quantomeno singolare che ci si preoccupi che una formazione politica possa, dopo essere stata legittimamente eletta, ritrovarsi a gestire un’ampia maggioranza.

Dal momento che, a quanto mi consta, né Grillo né gli appartenenti al Movimento hanno mai fatto ricorso all’uso della forza per assicurarsi la vittoria elettorale, è altrettanto singolare una preoccupazione così forte da auspicare una modifica estemporanea (a ridosso delle elezioni) di una delle più importanti “regole del gioco” costituzionali; singolare per non dire sinistro, considerando che, in ultima analisi, ad essere frustrata è la libera espressione della volontà popolare.

Schifani, seconda carica dello Stato, mostra di avere in ben poco conto i principi basilari della democrazia, poiché non pare chiaro (o, forse, è di una luminosità accecante) quale sia il principio che dovrebbe bilanciare una così grave limitazione. Forse esagera Grillo a parlare di golpe, ma rimane certamente un’esternazione molto grave, considerata la provenienza da un organo che dovrebbe essere garante di tutti i cittadini.

Non bisogna sottovalutare la portata di queste “boutade” e, soprattutto, l’assordante silenzio della comunità politica e sociale attorno ad esse, fenomeni che denunciano con chiarezza il degrado in cui versa oggi la democrazia italiana, e che dovrebbero destare una seria e lucida riflessione sulla più ampia tematica della crisi della democrazia, uno degli snodi problematici con i quali si dovrà necessariamente iniziare a fare i conti per evitare degenerazioni e, in generale, “guai peggiori”.

Stefano Mongilardi

P.s.: per correlare, suggerisco un’opinione (non priva di imprecisioni, ma interessante) di Paolo Hutter su Il Fatto Quotidiano.

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