Di Maio in panchina, si riscaldi Di Battista

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“Quindi sì – pensa Grillo – Di Maio deve battere in ritirata, e gli si sporca un po’ l’immagine, ma rimarrà un punto di riferimento per il mio elettorato moderato, e ci penso io a difenderlo dai colleghi inetti; poi di buono c’è che noi a trovar l’accordo c’abbiamo provato, e vaffanculo a chi dice il contrario, e cercare un’intesa è molto più difficile che sproloquiare in aula e battere i piedi in piazza.
Intanto io ho ancora intonsa la carta Di Battista, e me la gioco quando più mi pare, tanto lui non s’è sporcato le mani”.

A quanto pare il non-partito ha una non-strategia. O meglio, ha una strategia ‘alla giornata’. Del resto, chi ha non-esperienza e non-competenza non può fare altro. L’importante è non-fermarsi mai, dirla sempre più grossa, per allontanare lo spettro della non-vittoria delle scorse europee. 

Luigi Di MaioLa riforma del Senato ha messo in seria difficoltà il fronte grillino, che in un primo momento, con la necessaria approvazione del Capo, si è affidato a Luigi Di Maio.
Ma la linea dialogante, gli incontri in streaming, le prove d’accordo, i dieci punti e le dieci non-risposte… non-hanno pagato.
L’insuccesso della strategia di Di Maio, se ha deluso la parte d’elettorato cosiddetta “moderata“, ha senz’altro rallegrato quanti, tra le fila del M5S, vedevano di mal occhio il vicepresidente della camera e il suo protagonismo.
Dopo la sconfitta alle europee, e la conseguente strategica ‘messa in stan by’ di Di Battista – troppo rischioso legare anche il giovane viaggiator-rivoluzionario alla linea della moderazione -, sul palco è rimasto solo il colto vicepresidente della Camera, ancora a pagina 5 del volume “Diritto Parlamentare”, ma sempre cinque pagine avanti alla maggior parte dei suoi colleghi. 

Vuoi la difficoltà a condurre una trattativa (lo streaming, oltre a non-aiutare l’intesa, ha dimostrato l’inettitudine grillina), vuoi la smania di essere il più possibile in sintonia con una piazza che alle urne non-li ha seguiti, vuoi la diffidenza di Grillo (da sempre contrario a ogni tipo di contatto), vuoi il ritardo con il quale sono entrati nella trattativa (cosa che ha costretto il M5S a ragionare su una base già precostituita “dal torbido e sozzo accordo dell’ebetino di Firenze con il Caimano“), il periodo dell’intesa è finito.

E Di Maio, così sovraesposto, è alla ricerca di una strategia difensiva; dai media, e dai suoi colleghi – ebbene si, falchi e colombe esistono anche nel non-partito.
Il primo scudo glielo lancia Grillo stesso, contento che si sia accantonata la via dell’intesa ma spaventato dal fatto di veder bruciato il “volto istituzionale” del M5S: “Di Maio è una persona straordinaria”, dice più ai suoi che a noi.

Dibba

Archiviata la via più difficile, rimane la più semplice: la contestazione in aula e in piazza: mentre nelle settimane precedenti, durante le trattative, Grillo aveva intimato ai suoi precauzione, consigliando di calibrare le parole e abbassare i toni, ora vale il “libera tutti“.
E quindi aggredisci verbalmente il premier, colpo a Napolitano, stoccata a Verdini, la Maria Elena non sa far niente, Parlamento corrotto, Boldrini vai a casa, Grasso di te mi fidavo ma ora non più.

Chi si ferma muore, e il M5S (non-partito fondato sul colpo di scena) lo sa meglio di tutti.
Per ora, mettete il blog di Beppe tra i preferiti, e aspettiamo.
Quel che è certo è che da qualche giorno si sta riscaldando a bordo campo un Di Battista non macchiato da trattative, puro come la vodka che, assieme ai ravioli di patate e formaggio, condivideva con i russi nelle scomode cuccette dei treni della transiberiana.

Francesco Cottafavi
@FCPCottafavi

 

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