
C’era di meglio? Sicuramente. C’era anche di molto peggio, ché di autori sciropposi la letteratura (meglio: l’editoria) italiana degli ultimi 20 anni ne ha sfornati a vagonate: gente che non aveva niente da dire al mondo, non lo diceva con eleganza, ma aveva quel retrogusto di “volemose bene per forza” da generare orticarie diffuse.
Il problema non è Claudio Magris, di cui confesso candidamente di non aver mai letto una riga – non c’è comunque da essere fieri: non sapere non è mai bello – e che ammetto di conoscere per via di qualche ospitata-marchetta da Fabio Fazio, o forse per qualche fondo (ben scritto, per carità) sul Corriere della Sera. Il problema è l’aura sacrale di cui gode l’analisi del testo, e della sua fondamentale importanza per carovane di studenti e studentesse.
Non è un caso che l’analisi del testo sia la prima di cui si ha notizia il giorno del tema di maturità. Potrebbero aver consegnato la più pregnante, dotta, riflessiva traccia di questo universo; quella che ti costringe a fare i conti con la storia, la società, la politica, te stesso: la prima notizia verterà sempre su Svevo, Dante, Ungaretti, Montale, Manzoni o chi vi pare.
Questo perché l’analisi del testo è il primo salvagente che il MIUR, compassionevole, getta nel Mare della Disperanza dei maturandi.
Che cos’è l’analisi del testo? Non è un tema, e peste colga chi la definisce tale.
Se il tema è una gara di mezzofondo, dove devi dosare le forze per arrivare al traguardo con un tempo (leggi: concetto) decente, l’analisi del testo è la passeggiata che un cieco percorre guidato dal cane. Non è un testo da masticare per stimolare una riflessione, un parallelismo, un commento. È un percorso semplificato e guidato, dove l’unico spirito critico è quello pedissequo, del cloze test (quelli dove c’è una frase da cui è stata asportata una parola nel mezzo, e tu la devi indovinare). Il MIUR prima chiede quante sinestesie ci sono, quante volte l’autore si è soffiato il naso nella trincea della Prima Guerra Mondiale, cerca di verificare se da quella testa di rapa si può cavare una fiala di sangue (ancorché beceramente mandato a memoria).
Poi, solo poi e solo a volte, chiede di dire qualcosa di proprio sul testo.
Studiare per fare un tema è un controsenso. Il tema è esposizione. Di un concetto. Personale. Su qualcosa. E qui casca l’asino. La stragrande maggioranza degli studenti – è un giudizio tranchant che mi posso permettere essendo ancora uno di essi – è una capra siderale. Su tutto. Per carità, capacissimo a studiare; totalmente inabile e ineducato a capire, comprendere, farsi un’idea, sostenerla. La scuola non li forma? La famiglia non li forma? Sulle cause si potrebbe stendere un manuale di sociologia, quindi lasciamo perdere. Ma è indubbio che esistano frotte di laureati – laureati, non liceali! Visti con i miei occhi – che non sanno, nell’ordine:
- scrivere un testo superiore alle 10 righe senza fare una strage di punteggiatura;
- scrivere un testo superiore alle 10 righe padroneggiando i nessi logici (“quindi, appunto, finché, infatti, infine” eccetera) con tecnica superiore a quella di Toro Seduto;
- scrivere senza orrori ortografici (“po’ “, “un’ ” femminile, “dà” con l’accento – sì, ma quando? – “sé”, appunto il “sì”, il mefitico “qual è” che ho visto scrivere nei modi più aberranti…);
- scrivere utilizzando i tre modi principali della lingua italiana – e conseguenti 14 tempi verbali – nella maniera canonica; figurarsi coordinarli tra loro.
Mancando tali basi per esprimere un messaggio, lascio galoppare la vostra fantasia sui contenuti: una pochezza che Hiroshima a ferragosto del ’45 in confronto era Gardaland.
Torniamo a monte: il problema era Claudio Magris? Restavano da fare:
- una traccia intimista/qualunquista sul concetto di “fare gruppo”, roba che perfino Antonio Conte (non Umberto Eco: Antonio Conte) padroneggia alla grande;
- un tema sui Paesi in via di sviluppo – dopo che da anni ci tritano le scatole ovunque, da Telethon alla parrocchia, sui Paesi in via di sviluppo;
- una traccia trasognata sul rapporto tra individuo e massa, che davvero poteva portare ovunque e ci si poteva infilare dentro qualsiasi cosa;
- una traccia stimolante circa la ricerca sul cervello;
- un tema difficile sul concetto di omicidio del potente (da Moro a Mussolini, da Matteotti al Nunc est bibendum di Orazio);
- un tema altrettanto difficile sulle teorie economiche.
È inaccettabile che studenti di qualunque livello di scuola non sappiano esprimere un’idea su almeno uno di questi argomenti, e che quindi attendano il percorso facilitato.
Questa volta era occupato dalla mole sovrumana di Claudio Magris. Pazienza, verrebbe da dire, c’era il resto. Ma se pure sul resto non si sapeva dire niente, il problema non è Claudio Magris: il problema siete voi.
Umberto Mangiardi
@UMangiardi