Definizioni complesse/7: Comunista

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Se definire l’aggettivo “fascista” è stato complicato (e ha generato una lunga e proficua discussione), è forse ancora più complicato definire l’aggettivo “comunista”. Anche stavolta cercherò di disambiguare i vari significati dati a questa parola, che possono essere a distanze siderali.

Partiamo dal più semplice: comunista è una corrente di pensiero sviluppatasi in Europa a metà del 1800. Diversi furono gli studiosi che parteciparono alla formazione di questa scuola di pensiero, ma certo la pietra miliare è il ‘Manifesto’ di Marx ed Engels, due studiosi tedeschi. L’opera di Marx fu colossale, a partire dal testo ‘Il Capitale’, un opera in più volumi che in pochi possono dire di aver letto e compreso appieno.

È fondamentale capire che l’opera di Marx è stata concepita studiando la realtà dell’Europa centrale e anglosassone, culla della rivoluzione industriale. Marx analizza lo sviluppo della società e la sua uscita dal modo di produzione feudale che aveva lasciato il posto a quello capitalista. Marx cerca di fornire strumenti di analisi e lotta ai proletari, la classe sul cui lavoro si basa il modo di produzione capitalista, che però sfrutta il lavoratore a vantaggio esclusivo dei padroni borghesi. Compito del comunismo era quello di portare al potere le masse di lavoratori sfruttati, grazie ad una nuova coscienza di classe con cui i proletari si sarebbero resi conto di essere protagonisti e non comparse della Storia.

Marx (che diede il via ad un nuovo e più pragmatico modo di affrontare la realtà chiamato “materialismo storico”) influenzò con il suo pensiero tutto il mondo occidentale: in occidente, a vario titolo, molti movimenti politici fecero proprie le teorie marxiste.

marx engels forum, berlin Monumento a Marx ed Engels, Berlino

 

E qui arriviamo al secondo livello della nostra definizione, ovvero al concetto di comunista “storico”, inteso come “nella Storia”.

Come è simpatica abitudine della sinistra mondiale, il comunismo non aveva fatto in tempo a essere “codificato” che già si erano create diverse scuole di pensiero sulla sua attuazione nella realtà. Ma, volendo semplificare al massimo, si creò subito la distinzione tra riformisti e massimalisti. I primi, pur volendo la realizzazione del socialismo, erano disposti a lavorare nella società esistente per cambiarla poco a poco. I secondi volevano la rivoluzione, anche armata, subito.

In Europa nacquero le società di mutuo soccorso prima e i sindacati poi, nonostante la dualità persistesse. Tutto cambiò nel 1917, quando, per ragioni troppo lunghe da spiegare in questa sede, la rivoluzione comunista avvenne nello stato più improbabile: la Russia. Nacque così l’Unione Sovietica, e con i soviet nacquero – purtroppo quasi da subito – gulag, purghe e repressione.

A mio parere, per il regime sovietico sarebbe più opportuno usare l’aggettivo “leninista” o “stalinista”, dal nome dei due grandi (in senso quantitativo, senza giudizi di merito) leader sovietici. Ma mi rendo conto che per quasi tutti – e non a torto – il comunismo è quella roba lì, il regime che c’era in Unione Sovietica.

E non solo lì: in diversi Stati sono andate al potere forze comuniste, con (ahimè!) risultati piuttosto simili. Da un lato, condizioni di vita migliori rispetto a come le avevano trovate, dall’altro, un immenso costo in termini di libertà personali e democrazia.

Possiamo dire, dunque, che le teorie marxiste applicate nella realtà portino inevitabilmente alla dittatura? Secondo me, no. Perché quando sono state applicate, anche se in parte, in realtà simili a quelle dove sono state concepite (e cioè in società industriali avanzate) i risultati sono stati tutt’altro che nefasti. Si pensi al Nord Europa, dove tutt’oggi le socialdemocrazie scandinave hanno un’impronta in cui è visibile l’influenza marxista.

Arriviamo dunque al terzo livello della definizione, ovvero: cosa vuol dire essere comunisti in Italia? 

Il PCI in Italia nasce nel 1921 a Livorno come “costola” del PSI nato nel 1892. Neanche era nato che si spaccò: da una parte c’era chi, come il Segretario Bordiga, pensava che i comunisti non avrebbero dovuto partecipare alle elezioni ma puntare direttamente alla rivoluzione bolscevica; dall’altra c’era la  maggioranza degli altri comunisti che pensava il contrario.

Ad ogni modo, il PCI non fece tempo a nascere che neanche un anno dopo divenne illegale: con la marcia su Roma infatti il fascismo prese il potere e una delle prime cose che fece fu dare la caccia a socialisti e comunisti. Il PCI – anche grazie alla possibilità di accedere alla rete cospirativa europea facente capo a PCUS – divenne la principale compagine antifascista. Certo non fu l’unica, ma certamente fu la più efficace. Il PCI ebbe dunque un ruolo fondamentale nel coordinare e promuovere la Resistenza. Inutile fare la conta dei comunisti che hanno dato la vita per la liberazione dal nazifascismo.

Palmiro Togliatti

Dal 1945 in poi il PCI divenne una forza oggettivamente responsabile e democratica: diede un contributo fondamentale alla vittoria del referendum che sancì la Repubblica, partecipò alla stesura della Costituzione (ai comunisti e in particolare a Di Vittorio si deve il bellissimo art. 1 della nostra Carta) e dal 1948, sconfitti dalla Democrazia Cristiana, fecero opposizione in maniera tutto sommato responsabile.

È importante notare come sia importante distinguere la propaganda, a volte purtroppo necessaria, dagli atti concreti di azione politica. Se infatti da un lato si idealizzava la Russia, dall’altro il PCI puntava alla piena applicazione della nostra Costituzione, senza mai compiere atti anti democratici. Cito in particolare due fatti esemplari in tal senso: la fermezza con la quale il PCI bloccò ogni tentativo di sommovimento popolare in occasione dell’attentato a Togliatti e la lotta senza quartiere fatta al terrorismo negli anni di piombo. Quindi si può dire che i comunisti italiani siano mai stati comunisti in senso “sovietico”? Secondo me no.

In definitiva si può dare una definizione certa di comunista? Temo di no. Mi affido dunque alle parole di Gaber: “Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri“.

Domenico Cerabona
@DomeCerabona

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