(“Darwinite“: patologia mentale che porta uno o più individui ad agire in senso completamente contrario alla teoria dell’evoluzione)
In occasione della trasmissione in chiaro della serie TV “Chernobyl” su La7, ne approfittiamo per fare luce sull’unico disastro nucleare civile che ha causato vittime.
Prima di tutto occorre precisare che la centrale nucleare di Chernobyl non era interamente una struttura civile: era una centrale pensata per produrre energia elettrica a fini civili e plutonio a fini militari.
La necessità di recuperare il plutonio richiedeva cicli del combustibile molto più rapidi (di pochi giorni, invece che di diversi mesi, altrimenti si accumula una quantità eccessiva di Plutonio 240 che è troppo instabile per le tecnologie belliche) e quindi la necessità di intervenire sul nocciolo del reattore molto più spesso. Gli interventi di sostituzione del combustibile venivano effettuati dall’alto tramite una gru.
Il fatto di dover avere la gru praticamente sempre montata aveva portato alla scelta di lasciare scoperto il tetto dell’edificio di contenimento del reattore (difetto di progettazione #1).
In secondo luogo, le persone deputate a dirigere la centrale non erano esperti di energia nucleare: sia il direttore Brjuchanov, sia il capo-ingegnere Fomin non erano fisici o ingegneri nucleari e avevano lavorato precedentemente solo in centrali a carbone (incompetenza #2). Il capo-ingegnere dei reattori 3 e 4, Djatlov, aveva invece una limitata esperienza di reattori nucleari, ma relativa alla tipologia utilizzata per la propulsione navale.
In terzo luogo, occorre capire quali fossero le caratteristiche dei reattori RBMK utilizzati a Chernobyl. Si tratta di reattori di tipo BWR (Boiling Water Reactor), moderati a grafite: in questi reattori la fissione del combustibile scalda l’acqua, che va in ebollizione e si trasforma in vapore ad alta pressione che va alle turbine (nei reattori PWR invece l’acqua viene mantenuta allo stato liquido tramite la pressione, e non va direttamente alle turbine, ma passa da uno scambiatore di calore, ed è il vapore del circuito secondario che va alle turbine).
Le barre di combustibile sono inserite direttamente all’interno della grafite, e a diretto contatto con l’acqua di raffreddamento.
Un reattore con queste specifiche ha una caratteristica particolare: la formazione di sacche di vapore aumenta il tasso di reazioni. Infatti, mentre l’effetto di rallentamento dei neutroni (che favorisce le reazioni di fissione) viene comunque garantito dalla grafite, l’ebollizione dell’acqua fa sì che questa diminuisca il suo effetto di assorbimento di neutroni (l’acqua è un moderatore, ma anche un assorbitore debole), col risultato di un aumento della potenza.
Questa caratteristica viene detta “coefficiente di vuoto positivo“.
In molti, anche con qualche nozione su come funziona un reattore nucleare, attribuiscono la causa dell’incidente al coefficiente di vuoto positivo, ma è abbastanza riduttivo: senza una micidiale sequenza di errori umani, questa caratteristica tecnica non avrebbe causato disastri di per sé stessa.
Ora che sappiamo quali erano le caratteristiche della centrale e del reattore, andiamo a vedere cosa è successo. In occasione di uno spegnimento programmato del reattore per operazioni di manutenzione, il direttore decide di eseguire un “test di sicurezza” – in realtà un test di efficienza.
Decide cioè di vedere se, in caso di spegnimento di emergenza, le turbine, girando per inerzia, possono continuare a produrre energia in grado di alimentare il sistema di raffreddamento per un minuto, ovvero il tempo che serve a far avviare i generatori diesel di backup. Il test era già stato eseguito su un altro reattore, ma aveva dato esito negativo, per via dell’intervento di diverse misure di sicurezza automatiche.
Pertanto il direttore della centrale, per essere sicuro che il suo test riuscisse, fa disabilitare le procedure di sicurezza automatiche, tra cui: spegnimento automatico del reattore, raffreddamento di emergenza del nocciolo, riduzione di emergenza della potenza, etc. (incompetenza #3, #4 e #5).
Nota: questo è stato reso non più possibile nei reattori progettati successivamente, in cui la maggior parte dei fail-safe sono completamente passivi.
Il test doveva essere effettuato nel pomeriggio del 25 aprile 1986, ma un guasto ad un’altra centrale elettrica nella zona costringe a rimandare lo spegnimento del reattore (il governo aveva chiesto alla centrale di rimanere accesa più a lungo per fornire energia elettrica che compensasse quella della centrale che aveva subito il guasto).
Il direttore decide quindi di effettuare lo stesso il test, ma all’una di notte (incompetenza #6), col personale notturno che avrebbe dovuto limitarsi alla manutenzione ordinaria di un reattore spento e invece di colpo si trova ad eseguire un test su un reattore acceso, senza essere stato adeguatamente preparato.
Cosa mai poteva andare storto?
La fase iniziale del test prevede di ridurre la potenza del reattore di circa il 75%, ma l’operatore che doveva inserire le barre di controllo commette un errore (incompetenza #7) e le infila troppo in profondità, facendo scendere la potenza a meno dell’1%.
Nonostante l’instabilità del reattore a potenze troppo basse fosse una cosa nota, e nonostante i manuali operativi prescrivessero di non far mai scendere la potenza sotto il 20%, si opta per continuare il test (incompetenza #8).
Vengono quindi attivate delle pompe di raffreddamento extra, per aumentare la pressione dell’acqua, ma viene commesso un nuovo errore (incompetenza #9) e viene immessa nel sistema una quantità d’acqua superiore del 19% a quella consentita dai limiti di sicurezza, causando un’ulteriore diminuzione di potenza per via dell’assorbimento di neutroni.
A questo punto la potenza è troppo bassa per effettuare il test, e quindi occorre farla risalire.
Come?
Beh, ma è ovvio: rimuovendo le barre di controllo. TUTTE, le barre di controllo. Su 211 barre di controllo ne vengono rimosse 205, andando contro ai manuali operativi del reattore, che prescrivono un minimo di 30 sempre inserite (qui non è nemmeno più incompetenza, è proprio assalto al premio Darwin #10).
La potenza risale così a 200 MW termici, e finalmente l’esperimento può cominciare: all’1:23:04 di notte si interrompe il flusso di vapore verso le turbine, staccando quindi l’alimentazione al sistema di raffreddamento.
Solo che – e non dovrebbe essere una sorpresa per degli esperti – alle basse potenze la reale reattività del sistema viene mascherata dalla presenza di Xeno 135, un potente veleno neutronico. C’era pure un motivo se i manuali operativi parlavano di “rischio di instabilità alle basse potenze” e raccomandavano di tenere il reattore a 600 MW termici di potenza minima: infatti a potenze elevate lo Xeno 135 si consuma rapidamente, motivo per cui la formazione di questo elemento non rappresenta un problema durante il normale funzionamento del reattore, ma alle basse potenze si accumula e ostacola i processi di fissione.
Quando la potenza torna su, l’aumento del numero di neutroni liberi abbassa rapidamente la concentrazione di Xeno 135, e a quel punto viene fuori la reale reattività del nocciolo: la temperatura inizia a salire rapidamente; aumentando la temperatura si formano sacche di vapore, che causano un ulteriore aumento del tasso di fissioni, e quindi fanno salire ulteriormente la potenza, in un circolo vizioso (ricordate il coefficiente di vuoto positivo? Difetto di progettazione #11).
Naturalmente non è un problema, i neutroni in eccesso vengono assorbiti dalle barre di control… ah no, sono state rimosse tutte.
Beh almeno la temperatura possiamo tenerla sotto contr… ah no, abbiamo appena staccato l’alimentazione al sistema di raffreddamento.
All’1:23:40 l’aumento incontrollato di potenza induce finalmente qualcuno a premere il bottone di arresto di emergenza, che però causa un ulteriore problema: gli estensori delle barre di controllo, ovvero le “punte” (lunghe circa 1 metro) sono fatte in grafite. Che, abbiamo visto prima, rallenta i neutroni.
Durante l’inserimento, dunque, la grafite degli estensori inizialmente rimpiazza un pari volume di acqua, causando un rapido aumento del tasso di fissioni (e quindi della potenza) dovuto al maggior effetto moderatore, prima della diminuzione (difetto di progettazione #12).
Solo che con la situazione già fuori controllo l’aumento di potenza dovuto agli estensori in grafite è sufficiente a deformare le canaline per via della dilatazione termica, bloccando l’inserimento del carbonato di boro, e quindi impedendo al sistema di stabilizzarsi.
Quando la potenza raggiunge i 33 GW termici, dieci volte in più del massimo previsto, il combustibile comincia a fondersi e il vapore a dissociarsi, producendo idrogeno gassoso.
La pressione causa la rottura delle tubature e l’allagamento dei sotterranei.
Quando l’acqua liquida entra in contatto col combustibile fuso (detto “corium”) l’esplosione di vapore che segue è così violenta da far saltare la piastra superiore del reattore (1000 tonnellate), scoperchiandolo.
A questo punto, a contatto con l’ossigeno atmosferico, anche la grafite prende fuoco, e visto che l’edificio di contenimento non ha il tetto i fumi dell’incendio danno origine alla nube radioattiva di cui sicuramente avrete sentito parlare.
La gravità della fuga di radiazioni venne inoltre rilevata con estremo ritardo perché gli operatori della centrale erano quasi tutti equipaggiati con dei rilevatori di radiazioni il cui fondo-scala era a 3,6 röntgen/ora, un valore non preoccupante.
Quando a Djatlov venne in mente che forse il valore effettivo poteva essere più alto, e mandò qualcuno a controllare con un rilevatore col fondo scala a 360.000 röntgen/ora, la radioattività aveva già superato i 20.000 in alcune zone (incompetenza #13).
A questo punto dovrebbe essere evidente che definire Chernobyl “un incidente” è come mettersi al volante bendati, chiamare “imprevisto” il successivo schianto e a quel punto proporre di mettere fuorilegge le automobili.
Ciò nonostante, da allora non sono più stati progettati reattori con coefficiente di vuoto positivo, sono stati introdotti sistemi di sicurezza totalmente passivi, che non possono venire disinseriti manualmente, è stato introdotto lo SCRAM automatico, sono state brevettate nuove leghe di combustibile con temperature di fusione più alte, è aumentato drammaticamente il livello di controllo internazionale su ogni singolo impianto ed è stata resa obbligatoria la certificazione di tutti gli operatori di una centrale nucleare presso la IAEA.
Il che rende la posizione di chi è contrario al nucleare “perché Chernobyl” più o meno equivalente a quella di chi è contrario all’aviazione per via dell’incidente dello zeppelin Hindenburg nel 1937.
Nessun reattore costruito dopo Chernobyl è mai andato incontro ad incidenti (Fukushima era più vecchio di 20 anni).
Ad oggi nel mondo esistono ancora una decina di reattori RBMK attivi, che saranno smantellati nei prossimi decenni, ma è stato corretto il difetto di progettazione agli estensori delle barre di controllo e sono stati adottati tutti i moderni accorgimenti di sicurezza di cui sopra.
Ad oggi, l’incidente di Chernobyl resta un caso unico nella storia, eppure la sovraesposizione mediatica, accompagnata dal terrorismo psicologico ambientalista, lo hanno trasformato in uno spauracchio agitato da ogni bravo antinuclearista.
Tuttavia, nonostante la catena allucinante di errori progettuali, gestionali, strutturali, tecnici e umani, il reale bilancio della catastrofe di Chernobyl resta di poche centinaia di vittime tra passate, presenti e future, secondo gli studi dell’UNSCEAR e della Chernobyl Tissue Bank, molto inferiore rispetto a quello di eventi quali il disastro di Morbi, il disastro del Vajont o il crollo della diga di Banqiao, e certamente minuscolo rispetto al numero di morti causati ogni anno dall’inquinamento (9 milioni).
Il report del Chernobyl Forum del 2003 sull’incidente di Chernobyl parla di 4000 potenziali vittime nell’arco di 80 anni dall’incidente. Questo risultato è stato tuttavia ottenuto con un modello che oggi viene considerato obsoleto, e pertanto non viene considerato un dato affidabile.
Luca Romano