Durante una partita di tennis, ormai sempre più dominato da rigidi schemi tattici, a volte capita che un giocatore si prenda un rischio altissimo, quello che in gergo tecnico viene chiamato un “attacco fuori tempo”: scendere a rete su un colpo che non abbia messo in difficoltà il proprio avversario.
È una scelta molto rischiosa: se l’avversario viene colto di sorpresa potrebbe giocare un colpo in affanno, facile da chiudere con una volèe; ma è molto più probabile che l’avversario si accorga in tempo dell’attacco e giochi un facile passante, dato che attaccante non ha tempo di posizionarsi bene a rete, proprio perché il suo colpo non era propedeutico a tale mossa.
Ora, se state guardando una partita commentata dal sempiterno Gianni Clerici, in una fase simile lo sentirete dire, sardonico, che il giocatore attaccante è uno sciagurato: era nella “terra di nessuno” e cioè a metà campo, né a rete né sul fondo, facile vittima dell’avversario.
Ecco, l’impressione è che il buon Pippo Civati si trovi ora nella “terra di nessuno”. Civati, dopo aver partecipato alla prima “Leopolda” (la convention dei rottamatori del PD capitanati da Matteo Renzi) ha abbandonato quella nascente “corrente” del PD per tentare una strada più personale. I sostenitori di Civati dicono che lo abbia fatto perché interessato ad un progetto politico e non ad una mera campagna giovanilista, i detrattori dicono che due ego enormi come quello di Civati e di Renzi non potevano lavorare assieme.
In ogni caso Civati, pur coltivando un suo progetto culturale e politico con iniziative spesso interessanti, è rimasto per qualche tempo “allineato e coperto” nelle file del PD, senza eccessivi strali, anzi: addirittura appoggiando alla primarie del novembre 2012 Pierluigi Bersani. Tuttavia già prima delle primarie del 2012, Pippo annunciò la sua volontà di candidarsi alla Segreteria del PD.
Proviamo a fare i conti in tasca al buon Pippo: è legittimo pensare che Civati credesse in una vittoria della coalizione guidata dal suo partito alle elezioni del febbraio 2013 e che, dunque, tutti i maggiorenti del PD si sarebbero trovati al Governo, dedicando scarso interesse alla guida del partito. In questa ottica una candidatura di un giovane sì rampante, ma che si era dimostrato rispettoso dell’Apparato, avrebbe potuto fare breccia nella dirigenza e nella base del partito. Purtroppo nel PD le cose sono andate diversamente e molti schemi sono andati, per dirla in piemontese, “ad Aramengo”.
Arriviamo ai giorni in cui si doveva eleggere il nuovo Capo dello Stato: c’è fibrillazione tra tutte le forze politiche e in particolare il PD è vittima di faide interne che viaggiano sottotraccia ed esploderanno in maniera clamorosa. Sappiamo come, non c’è bisogno di spiegarlo.
È proprio in quei giorni che Civati prova un “attacco fuori tempo”: percepisce che nella “base” del PD c’è un forte malcontento per quello che si annuncia come un accordo di Bersani con Berlusconi per eleggere il Capo dello Stato; a questo punto Pippo si schiera apertamente in favore della candidatura di Stefano Rodotà, chiedendo al PD di fare un accordo con il M5S e SEL – anche in previsione di un accordo per il futuro governo.
Civati non si limita ad una presa di posizione blanda, tutt’altro: tramite il suo blog e alla sua rete di contatti lancia una campagna mediatica contro la candidatura di Franco Marini e si mette alla testa del movimento #occupyPd. In molti (secondo i giornali; in pochi secondo le testimonianze dirette) tra iscritti e militanti si ritrovano nelle sedi del PD e le occupano simbolicamente, prima in disaccordo sul nome di Marini e poi in forte segno di protesta contro i “famosi” 101, i parlamentari che affossano la candidatura di Prodi.
Perché questo di Civati è un “attacco fuori tempo”? Perché improvvisamente si fa portatore di un forte attacco alla dirigenza del suo partito in uno spazio molto molto stretto lasciato in quelle ore da Matteo Renzi (che della battaglia all’Apparato aveva fatto una ragione d’essere). Il sindaco di Firenze in quei giorni era impegnato a guidare la sua compagine in Parlamento (pur non essendo un grande elettore): dopo essersi schierato nettamente contro Franco Marini, si era defilato nella vicenda dell’affossamento di Prodi (ma c’è chi crede – e chi scrive è tra questi – che a comporre il fantomatico numero di 101 abbiano concorso le truppe renziane).
Ma questa è un’altra storia. Nel frattempo i media danno ampio spazio al nascente movimento di #occupyPd, in ogni trasmissione politica c’è un esponente che, a vario titolo, si fa portavoce di questo sommovimento della base del PD: sembra che all’urlo di “Siamo più di 101” gli occupanti, guidati da Civati, siano ad un passo dal “prendersi il partito”.
Tutto dovrebbe culminare l’11 maggio 2013, il giorno dell’Assemblea Nazionale del PD che in seguito alle dimissioni di Pierluigi Bersani deve scegliere il nuovo Segretario. #OccupyPd annuncia una presenza di massa all’Assemblea che si tiene a Roma, per dimostrare quanto la base sia in rotta con il Partito, con tanto di documento pronto per essere letto.
In quell’Assemblea accadono però due cose che sparigliano il gioco di Civati, sempre più diretto verso la “terra di nessuno”: a) al grido di “siamo più di 101” si ritrovano a Roma molto meno di cento persone. Gli “occupanti” hanno parecchie magliette ma rimangono quasi tutte negli scatoloni, ed anche se molte testate soffiano sul focherello della protesta per alimentare l’imbarazzo del PD – sport nazionale tra i media nostrani – non si può nascondere quello che è un evidente e clamoroso flop; b) Matteo Renzi si smarca clamorosamente da questo movimento, salutando appena i manifestanti (molti di essi renziani della prima ora) fuori dal centro congressi e, soprattutto, liquidando il movimento in una battuta nel suo intervento: “più che di un #occupyPd serve un #openPD”. In altre parole: lasciateli perdere, noi faremo altro (cosa regolarmente accaduta).
Paradossalmente, da quel momento è Renzi il “nemico” vero di Civati. Il buon Matteo, infatti, spiazza tutti: correrà in prima persona per la Segreteria del Partito, cosa che sembrava non interessargli affatto. Il Sindaco di Firenze non cede alla sirene – baffute – che gli consigliano di lasciare il partito a chi ha le caratteristiche per guidarlo – leggasi Gianni Cuperlo – per poi candidarsi alla Premiership quando ci saranno le elezioni.
Come sappiamo la scelta di Renzi è invece di correre per occupare il Nazareno; per Palazzo Chigi ci sarà tempo. Ed è proprio a questo punto che Civati si è ritrovato nella “terra di nessuno”, schiacciato dalla candidatura di Gianni Cuperlo che rappresenta “il rinnovamento nella continuità” e quella dello “spazziamo via il vecchio” di Matteo Renzi. Le frecce nell’arco del Parlamentare di Monza sono rimaste poche: un rapporto di reciproca stima con Fabrizio Barca, un dialogo aperto con SEL, proposte avanzate in tema di diritti civili e poco più. Certo, non “robetta”; ma basterà a Civati per non farsi definire “sciagurato” da Gianni Clerici?
Domenico Cerabona
@DomeCerabona