Chi ama Obama (senza sapere perché)

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Ho letto di vere e proprie esultanze alla vittoria di Obama. Tra i miei contatti facebook, girovagando su profili twitter rigorosamente tricolori, era un tripudio.
Ho visto endorsement più o meno motivati, più o meno accorati, da gente che intrattiene rapporti con l’America solo andando da McDonalds.
Ma soprattutto, io stesso sono contento per Obama. E non ha senso, non ha assolutamente senso. Perché io di Obama non so niente.

Non so perché io debba essere contento questa mattina, mentre se avesse vinto Romney sarebbe stata una catastrofe assoluta. Sì, va bene, le posizioni antiabortiste sono retrive. Ma suvvia, who cares? Davvero abbiamo tanto a cuore le puerpere statunitensi da lasciarci convincere fino a questi punti?
Cosa ha fatto Obama per meritare il nostro disinteressato sostegno? Che ne sappiamo, davvero, dei provvedimenti di Barack Hussein II, senza fare un rapido giro su Wikipedia, o una furbesca ricerca Google? Secondo me, poco tendente al niente.

Meno di niente – ci scommetto – sappiamo di Romney. Sappiamo che è di destra (e questo basta perché ci stia sulle corna, nevvero? È ipso facto un peccato, essere di destra), sappiamo che è contro Obama. In pochi vanno al di là di questi due dati di base: eppure – dato che si tratta di una scelta tra A e B – prima di sceglierne uno sappiamo perfettamente, a livello razionale, che dobbiamo almeno avere un’idea dell’altro.
Sappiamo che Obama ha vinto uno dei Nobel per la pace più assurdi della Storia, sulla fiducia – e a cui non è seguita una smaccata moralizzazione del diritto internazionale, come i più ingenui speravano. Toh, a scavare nella memoria sappiamo che ha ordinato il blitz per assassinare Bin Laden.
Sappiamo che non è riuscito ad attuare completamente la sua riforma sanitaria, con buona pace di tutti i John Q. del pianeta, e che l’economia ha subito pesantissime flessioni.

Eppure, tutti amiamo Obama – me compreso. Di razionale, sospetto, non c’è nulla; e nemmeno di cosciente. Temo noi si sia inconsapevoli vittime di un martellamento politico e culturale incessante, durissimo e senza quartiere.
Un martellamento politico (anche in Italia) dove basta uscire da un seminato rigidamente predefinito di valori di cartapesta per essere isolati ideologicamente, già solo nelle aule di liceo.
Un martellamento propagandistico, oppressivo, che non conosce confini: passa anche per i cartoni animati (American Dad, dove il repubblicano Stan è un bietolone dai valori rigidi e fragili; o i Griffin) e serie tv (in Scrubs il vincente per antonomasia, il Dottor Cox, umilia spesso e volentieri con la sua sicumera democratica l’ochetta giuliva repubblicana, bionda e cogli occhi azzurri – l’isterica dottoressa Elliot Reed).

Passa facendosi forza degli endorsement di idoli come Springsteen e della retorica buonista di radicali come il bravissimo Michael Moore. Chi crede di essere libero nella cabina elettorale forse è un illuso.
Perché andare contro la corrente è difficile e stancante: la libertà passa anche – soprattutto – da una equalizzazione della temperie culturale.
Del resto, dare dignità di esistere ai propri avversari è il primo passo che una società giusta deve intraprendere. Un passo di convenienza, prima di tutto: un passo che evita il radicalizzarsi ideologico delle tesi opposte, e permette di dialogare in maniera più agevole.
Sempre che l’obiettivo sia il progresso, e non la sopraffazione di una parte sull’altra.

Umberto Mangiardi
@UMangiardi

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