Cara Milano, organizzare una Maratona non è obbligatorio

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La Maratona di Milano, di cui ieri si correva la quattordicesima edizione, ha la fama di essere una brutta gara a causa della freddissima accoglienza che la città riserva ai maratoneti (ed in generale all’evento).
Io non ho corso questa edizione: mi sono fatto bastare, se così si può dire, il mio ruolo da “accompagnatore”. Confermo alla lettera la vox populi. Anzi, probabilmente le malelingue alla fin fine sono generose. 
Credete esageri? Partiamo da un dialogo carpito ad un incrocio da un mio compagno di squadra:

Cittadino milanese: “Certo che ‘sti maratoneti hanno rotto i coglioni”
Vigile urbano sull’incrocio: “Sono d’accordo con lei”.

Come benvenuto, niente male. In realtà, sarà questo – sostanzialmente – il clima che respireremo nella città durante tutto il percorso. L’impressione che dà Milano è di tollerare a malapena la gara.
Siamo ovviamente dinnanzi ad un paradosso, perché se una maratona è gestita bene porta benefici per parecchie categorie (afflusso di atleti, afflusso delle famiglie, chiusura del centro con la possibilità di organizzare manifestazioni parallele, banalmente lo straordinario per i vigili…); se poi una maratona è fantasmagorica come quella di New York (ma chiariamo: non si pretende tanto!) può anche capitare che diverse migliaia di persone vengano a visitare la città e ci stiano qualche giorno, spendendo quel tanto che basta da far contento qualche albergatore, qualche ristoratore e qualche gestore di cinema o musei.
Senza contare che nessuno, dall’esterno, ha né potere né volontà di imporre una maratona cittadina. Perciò sorge una domanda: ma se Milano non tollera la Maratona, perché si prende la briga di organizzarla? 

Fatto sta che ci dirigiamo verso lo Start: dato che avevo parecchi amici in procinto di correre questa gara, ho avuto la bislacca idea di accompagnarli, in gruppo con altri, per incitarli durante il percorso.
Mi affitto la mia brava bici del bike sharing meneghino e mi metto nell’ordine di idee di seguire quanto più riesco dei 42 km e 195 metri: una cosa che si fa abitualmente in quasi tutte le Maratone, almeno in Italia. Ovvio, in corrispondenza delle fasi più concitate o delle parti particolarmente strette del percorso sarà necessario uscire dal tracciato di gara, ma questo lo sanno tutti i runners (e, per osmosi, i loro parenti e amici).

Ero intento nella mia sgambata quando, in un tratto di strada molto ampio, un agente della polizia locale decide di inventare un nuovo sport: la bicicletta a ostacoli. Mi intima di svoltare a sinistra, senza uno straccio di motivo. Appena vede che non ero esattamente intenzionato a farlo, si ricorda di quanto ama le gesta di Martin Castrogiovanni, pilone della nostra nazionale di rugby, e mi placca. A momenti mi fa piantare un volo che Howard Hughes in confronto era un boy scout.
Non fosse bastato lo spavento, non fosse bastato il placcaggio, odo un berciare tipo “L’esercito delle 12 scimmie”. Sono le urla di approvazione di una cittadina milanese, che ha iniziato ad apostrofarmi in maniera straordinariamente simpatica.

Mi innervosisco: so che non si dovrebbe fare, e che è perfettamente normale che un accompagnatore di un maratoneta venga quasi schiantato a terra mentre una Erinni esulta e festeggia. Lo so, eppure sbaglio lo stesso: mi innervosisco, e mi metto a sacramentare addosso alla signora. Non si fa, ma si fa.
In ogni caso, mi divincolo e (un pochettino stordito dall’assurdità dell’evento) riprendo il mio pedalare per raggiungere un mio compagno di squadra. Costui stava da un pezzo aspettando la borraccia che dovevo sporgergli. C’è un amico che ci tiene a finire la corsa e se non gli do un po’ di sali non ce la fa: se non ce la fa, lui ci resterà male, io ci resterò male, lui si arrabbierà, lui avrà ragione.
Lo so che è incomprensibile per un ghisa e per una milanese imbruttita, ma sono cose che capitano quando una città organizza una maratona.

Ma della maratona, e nella fattispecie di me, non frega niente a nessuno: l’agente, non contento e probabilmente offeso dal mio improperio (che – giuro! – era dedicato di tutto cuore alla signora che non ho ancora capito per quale motivo mi stesse insultando), abbandona l’incrocio di sua competenza e inizia a inseguirmi in macchina. Comportamento poco cavalleresco già di per sé, che si conclude con un ancora meno cavalleresco quasi-speronamento. Ho sentito di narcotrafficanti della Sacra Corona Unita con fuoristrada rinforzato trattati con maggior tatto.
Sbigottito, mi fermo: l’agente mi intima di consegnargli un documento e di seguirlo. Ritorna al suo incrocio e mi eleva un verbale per “non aver ubbidito all’ordine di un agente nel pieno delle sue funzioni”. Ora: io mi rendo conto che essere insultato tutto il giorno dai milanesi che vogliono attraversare può esser stressante, ed altrettanto frustrante possa risultare essere ignorati dai ciclisti, ma… per diamine, stavo solo… seguendo il percorso!
Fuor di sarcasmo, credo che la situazione kafkiana sia dovuta al clima assurdo che nel capoluogo lombardo viene creato dalla maratona. 

Un po’ scosso, mi ripiglio d’animo: per niente al mondo mi perderò l’arrivo di amici e compagni di squadra. Perciò, mi piazzo a cinquecento metri dall’arrivo, in una zona larga e non transennata. Ripeto: larga e non transennata
Per chi non ha mai corso una Maratona forse è difficile da capire, ma avere uno sconosciuto che ti urla “Dai! Non mollare!” quando tu proprio non ne hai più è la cosa più bella del mondo: conosco una dozzina di persone pronte a giurare che fanno la maratona solo per quello. Ti dà una carica senza uguali e dopo qualche settimana ci si ricorda quasi solo episodi galvanizzanti come quello.
Anche di questo ai milanesi (e va beh, abbiamo intuito che ci odiano) ed agli organizzatori della maratona (e questo davvero è oltre ogni logica e consequenzialità di pensiero umano) non frega assolutamente niente: più di una volta sono gli stessi organizzatori che vengono a lamentarsi. La strada è larga, la strada non è transennata, ma “stiamo dando fastidio”. A chi, non si sa. Dobbiamo tornare sul marciapiede e non intralciare i mezzi (i mezzi?!) che devono passare. 

Volete sapere la cosa più buffa? Sono anni che gli organizzatori di Milano si crucciano tentando soluzioni (anche innovative, tipo la staffetta 4×10.000) per far “decollare” gli iscritti della Maratona meneghina, unica tra quella delle grandi città italiane ad avere numeri modesti e stabili, al contrario di tutte le altre che stanno invece aumentando in maniera esponenziale il numero dei partecipanti.
Diciamo che alla luce di quanto mi è capitato ieri, non è difficile capire le ragioni.

Domenico Cerabona
@DomeCerabona

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