Canada: è qui il nuovo Sogno Americano?

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Prendere armi e bagagli, partire e lasciarsi tutto alle spalle. In cerca di un lavoro, in cerca di nuove opportunità, in cerca di un posto che valorizzi quel sudato pezzo di carta conquistato all’università.
Sono le storie dei tantissimi cervelli in fuga o presunti tali, che decidono di lasciare l’Italia per andare all’estero.
Basta prendere un quotidiano qualsiasi per trovare fantomatiche e roboanti avventure di intrepidi compatrioti: a quanto si legge, nell’ultimo anno tutti i lavapiatti italiani sono andati a Berlino e sono diventati manager d’azienda. Chissà come costruiranno le prossime Volkswagen, viene da chiedersi.

Ma è inutile essere critici e sbruffoni sulla materia in questione: l’Italia – l’Europa in genere – offre sempre meno possibilità ed è obbligatorio dare uno sguardo oltre confine. E come diceva il grande Alex Supertramp di “Into the Wild” nella sua disperata fuga verso l’Alaska, “la strada porta sempre a ovest”.
Frase ad effetto non certo veritiera, vista la mole di traffici economici proveniente dall’Asia e dall’Est del mondo, ma è un fatto che ancora oggi tanti ragazzi guardino all’estremo Occidente come punto di partenza per iniziare la propria avventura lavorativa.

Tra le varie mete più ambite dagli italiani – e non solo – negli ultimi anni, c’è sicuramente il Canada. Lo testimonia la crescente richiesta di visti “Working Holiday”, uno speciale permesso che consente ai giovani fino ai 35 anni di lavorare part-time, studiare e viaggiare all’interno del Paese scelto per qualche mese (le possibilità sono tre: Canada, Australia, Nuova Zelanda).
Nel 2008, in Italia, la disponibilità di posti aumentò da 400 a 500; oggi quelli disponibili sono mille.
Il problema però è un altro: la selezione si è trasformata in una sorta di lotteria.
Se in passato trascorrevano mesi prima che i posti si esaurissero, l’anno scorso, 22 gennaio 2014, tutti i permessi sono finiti in appena dieci minuti di orologio.
E non vince il più meritevole, ma solo il più veloce a cliccare (per candidarsi basta preparare una documentazione personale).

Ma il punto è: come mai il Canada, posto freddo e inospitale, dove una pizza margherita costa 15 $ e nevica otto mesi all’anno? La risposta è abbastanza semplice: il Canada non ha praticamente subito gli effetti della crisi economica.
O meglio, ne è rimasto fuori, senza aver tutte le drammatiche conseguenze che conosciamo bene da queste parti.
Quindi, c’è lavoro – e non è certo una notizia da poco.
La situazione ha ovviamente movimentato l’immigrazione, al punto che il governo (conservatore) degli ultimi anni ha imposto severe restrizioni in materia: oggi non c’è più posto per tutti.
Se non si hanno specifiche “skills” in Canada non si entra più; in genere sono basate sul proprio livello di inglese e sul proprio curriculum. In particolare, sono finiti i tempi dove si poteva andare in Canada e fare forza sulla propria comunità etnica: quella italo-canadese è giunta al capolinea, essendosi ormai ridotta solamente ad elemento folkloristico destinato ad estinguersi in un paese dalla anglofonia consolidata.

Come detto, se è vero che molti giovani partono per il Canada con il visto “Working Holiday” sperando di trovare qualcosa di definitivo, è altrettanto consueto che nella stragrande maggioranza dei casi nessuno trovi un lavoro stabile e dunque, finita l’esperienza, sia costretto a tornarsene a casa.
Per chi resta, le prospettive non ricalcano propriamente gli stereotipi dell’Eldorado: molti ragazzi plurilaureati decidono di mettere da parte l’orgoglio e le ore di studio, preferendo ripartire da capo (magari facendo il barista da Starbucks o in qualche altro fastfood).
Altri pagano fior di quattrini ad alcune agenzie (circa 1.000 $) per trovare tirocini non retribuiti (!!!) in alcune aziende: in altre parole, lavorano gratis sperando poi di entrare nelle grazie della dirigenza.

Neanche a dirlo, chi ha più facilità a trovare lavoro sono quei soggetti che il lavoro, bene o male, lo trovano dappertutto: ingegneri, esperti di elettronica, medici, lupi della finanza.
Lavorano in settori internazionali e quindi esportabili; perchè però scegliere un posto così freddo quando si può girare il mondo?
Gli stipendi sono alti, ma proporzionati al costo della vita.
Qualche esempio: a Toronto un mese di abbonamento alla rete dei trasporti costa 140 $, una camera singola vicino a DownTown sugli 800 $.
Ovviamente è bene ricordare che in Canada occorre un visto lavorativo. Per ottenerlo ci sono due vie: sperare che un’azienda vi sponsorizzi (e quindi si occupi direttamente della burocrazia) oppure provare a richiederlo direttamente al governo. Tutte le istruzioni si trovano qui.  

Anche frequentare un corso all’università non è così semplice, soprattutto dal punto di vista economico. Vige un sistema di sapore vagamente “leghista” (anche se qui nessuno professa l’indipendenza in nome di un fiume: il movimento indipendentista del Quebec ha sempre avuto toni più pacati e non ha mai riscosso troppo successo): al netto delle camicie verdi/giubbe rosse, comunque, se si è canadesi l’università costa sui 6.000 $ annui, altrimenti la retta è di 12.000 $. E una volta finito il corso di studi, non esiste alcuna legge matematica che garantisca un’assunzione.
In alternativa all’università esiste il College, un corso che si effettua dopo il liceo e che risulta essere più pratico e meno teorico, più finalizzato alla ricerca del lavoro; ma il costo è all’incirca lo stesso (e quindi parecchio proibitivo).

Bisogna comunque confessare che il Canada vive all’interno di un ottimo clima sociale: se i canadesi si vantano di essere i cugini educati degli americani un motivo ci sarà. Un paio di coordinate random nel caso stiate cominciando a farci un pensierino.

  • Toronto è una delle città più multiculturali del mondo (e non è solo una frase da Lonely Planet): per strada troverete persone di tutte le razze e tutti i colori, ma nessuno si preoccuperà delle diversità.
  • Il mix etnico-culturale produce ottimi risultati a tavola: la vastissima proposta culinaria è sicuramente uno degli aspetti più intriganti della vita canadese. 
  • Sono prassi comune alcune regole che qui da noi sembrano impensabili: ad esempio, nei curricula è vietato che il datore di lavoro richieda foto e dati anagrafici del candidato.
  • Alla fermata del pullman, anche a meno venti gradi, le persone attendono ordinate in coda.
  • In ultima analisi, al momento il tasso di cambio euro-dollaro canadese è particolarmente vantaggioso per noi europei.

Insomma: se fossi un ingegnere oppure un amante della finanza, non ci penserei due volte ad un trasferimento in Canada.
Se fossi un ristoratore, anche.
Per tutti gli altri mestieri, cari miei, la vedo dura.
Però ecco, se volete vedere un’alce o ascoltare uno degli ultimi concerti di Neil Young o Leonard Cohen, potrebbe comunque essere il posto giusto.

Davide Agazzi
@twitTagli 

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