Bullismo… per un 6: l’assenza di ambizione dei futuri ladri di polli

Qualche giorno fa sui giornali salta fuori la vicenda dello studente di Lucca che bullizza il professore, intimandogli di dargli un 6 e successivamente di mettersi in ginocchio perché “non ha capito chi comanda qui“.
Si sono naturalmente spese un sacco di parole per parlare del fatto che, ormai, fare il docente di scuola superiore in Italia è un lavoro più pericoloso che fare il poliziotto a Città del Messico; che le generazioni di oggi non hanno più alcun rispetto per l’autorità e che bisognerebbe tornare ad educare i propri figli coi metodi di una volta (a cinghiate sul culo), quindi non voglio dilungarmi troppo su questa parte.

C’è però un aspetto della vicenda che nessuno ha analizzato, e che secondo me qualcosa dice: lo studente-bullo arriva a sfidare il docente, a usare violenza verbale e a minacciare quella fisica, sapendo perfettamente che si sta mettendo contro “il sistema”… per un sei.
Non un dieci.
Un cazzo di sei.
È concettualmente equivalente ad entrare in una gioielleria, trucidare i commessi, e poi andarsene mettendosi in tasca due braccialetti di oro bigiotto del valore di 50 euro l’uno. La sbraitata ha un unico fine: il minimo sindacale personale e attuale.
C’è stata un’altra stagione storica in cui gli studenti imponevano il sei ai professori: erano gli anni di Piombo. Ma lì il sei politico era un rifiuto dell’intero sistema scolastico, faceva parte di una ribellione generale, di un anarchismo che se non altro mostrava vitalità.
Il sei politico dello studente bullo invece è la rassegnazione, l’arrendersi alla propria incapacità e svogliatezza, pretendendo allo stesso tempo che dall’alto arrivi qualcosa “perché sì”: è praticamente la versione scolastica del Reddito di Cittadinanza.

bullismoIl non-rispetto per l’autorità a 16 anni è una cosa normalissima, esiste dai tempi di Seneca (che già lamentava la maleducazione dei giovani dei suoi tempi): nella Storia la ribellione giovanile ha dato origine a generi musicali, a gruppi terroristi e a movimenti culturali.
Culturali, appunto: il nodo del problema è proprio la cultura.
I giovani hanno sempre iniziato col voler creare una contro-cultura al mondo degli adulti, da che mondo è mondo… poi succede che in parte la contro-cultura deve necessariamente passare dalla cultura, e quindi in qualche modo i ribelli finiscono con l’inquadrarsi, perché la cultura è universale (“partono tutti incendiari e fieri, ma quando arrivano son tutti pompieri“, per dirla con Rino Gaetano); e in parte la contro-cultura arricchisce e innova la società (pensiamo ai movimenti hippie e all’impatto che hanno avuto sulla vita sessuale e musicale occidentale).

Quella di questi anni è una storia differente. Oggi di creare una nuova cultura non importa più nulla a nessuno: l’odio per qualsiasi forma di intellettualismo, condito dall’individualismo elevato a sistema, ha portato a questo. Tra rispetto per la cultura e rispetto per l’autorità c’è una differenza enorme.
Io ad esempio detestavo il mio professore di Latino e Italiano: ritenevo di meritare molto di più dei voti che mi dava, e lo ritenevo un grandissimo stronzo. Non rispettavo, quindi, la sua autorità di persona deputata a valutarmi.
Cionondimeno ero assolutamente conscio di trovarmi di fronte ad una persona più preparata di me, e rispettavo comunque la sua conoscenza profondissima delle materie che insegnava.

La musica delle generazioni moderne spiega l’andazzo molto bene: i ragazzi oggi ascoltano “Trap”, che è un genere musicale con dei testi ripetitivi e beoti che al confronto Gigi d’Alessio è Gabriel Garcia Marquez, i cui massimi esponenti sono youtuber sedicenni strafatti.
Certo, pure Kurt Kobain si distruggeva con qualunque droga gli venisse a tiro, ma cazzo, questi si schiantano con lo Xanax!
Non si drogano per ricercare sensazioni oniriche da riversare in musica: si drogano per poter dire che sono depressi e drogati. È tutto fine a sé stesso. Già i Nirvana erano il simbolo di una generazione che aveva smesso di credere di poter cambiare il mondo e preferiva deprimersi, ma almeno quella generazione soffriva lo scontro tra i propri sogni irrealizzabili e la realtà.

Questi hanno smesso di sognare – e il motivo per cui li odio, in fondo, è che io non la sopporto la gente che non sogna.
Il bullo idiota, che minaccia il professore per un sei, rappresenta questo: una generazione di pezzenti, la cui massima aspirazione è sopravvivere senza fare un cazzo, che ha deciso che persino sognare la vita da gangster circondato da soldi e figa è troppo faticoso, e quindi si limita a sognare di svaligiare un pollaio.

Luca Romano

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