Quando si parla di soldi alle scuole private è come tirare una bastonata su un nido di vespe. E poi stare ben fermi, a cuccarsi tutte le punture.
Domenica c’è un referendum, a Bologna. La proposta di questo referendum (fortunatamente consultivo, e quindi privo di vincoli giuridici per l’amministrazione) è molto semplice: revocare i contributi pubblici agli asili gestiti da privati.
Il referendum lo ha promosso un comitato presieduto da Stefano RO DO TA (il coro isterico che ha accompagnato la sua mancata rielezione alla Presidenza della repubblica impone codesta nuova grafia): ora, tralasciando quali possano essere i reali interessi alla gestione economica del capoluogo emiliano da parte di un cittadino cosentino residente a Roma, perché Bologna? Lo spiega in questo articolo inappuntabile Antonio Polito, firma del Corriere della Sera (ne consiglio vivamente la lettura).
Perché il punto non verte sull’amministrazione, ma su un nodo politico utile a compattare la nuova gauche italiana: SEL, Acid-PD, Movimento 5 Stelle. Lanciati a bomba contro l’obiettivo comune: l’anticlericalismo (che ci può stare) e la nemesi della gestione privata del servizio pubblico (e una tale ricetta, in tempi di crisi, è semplicemente controproducente, checché ne abbia detto il referendum mistificato come “quello per l’acqua pubblica“).
Polito argomenta evidenziando la risibilità dei numeri: a Bologna, su 100 bambini iscritti all’asilo, 17 vanno in un asilo statale; 50 (tanti) in un asilo comunale; 23 in un asilo privato (abbastanza), pagando una retta di iscrizione.
L’illusione è presto creata: se togli i fondi agli asili privati, quei 23 saranno riassorbiti dalla macchina pubblica. Non è così.
Il Comune di Bologna destina 36 milioni di euro agli asili territoriali: di questi, 35 malcontati agli asili comunali, uno ai privati (il 2,8%: questo è il dato diffuso).
Impossibile che basti il risparmio di un solo milione di euro per sistemare il 23% dell’utenza.
Chiaramente, è una battaglia di pura ideologia; che non è un male in sé e per sé, ma lo diventa se si sacrifica l’esistenza di un servizio che funziona, su cui la cittadinanza non ha mai protestato ed anzi su cui c’è concordia.
Oltretutto, il singolare atteggiamento del referendum è negativo, in senso etimologico: non si chiede di aumentare i fondi al pubblico, ma di toglierne una parte al privato.
È falsa anche la ricostruzione di ambienti filoclericali (non serve ricordare che la stragrande maggioranza degli istituti privati è in mano a ordini religiosi): “Senza quei soldi rischiamo di chiudere”.
Molto difficilmente questi istituti dipendono dalla sovvenzione pubblica (se così fosse, il loro problema di gestione sarebbe molto grave); ma è altrettanto vero che, soprattutto le strutture prescolari, assolvono ad una importante funzione sociale, e cioè quella di creare una offerta per una domanda che il solo pubblico non ce la fa a soddisfare. Non capita di rado che le sovvenzioni pubbliche servano a pagare la retta per famiglie che hanno necessità di una sistemazione ma non hanno la possibilità di pagare l’istituto privato.
A quel punto gli asili privati non potranno più ospitare, a costo zero, i bambini delle fasce più umili della popolazione (e magari, ma è secondario, alzeranno le rette). La manovra politica è chiara: oltre alla notazione di ricompattare quella sinistra, gli asili diverranno realmente “scuole per soli ricchi“.
E attaccarle, a questo punto, sarà ancora più facile e conveniente.
Umberto Mangiardi
@UMangiardi
P.S.: predichiamo la trasparenza, perciò è giusto che io vi dica che sono stato iscritto sia alle medie che alle superiori presso istituti confessionali. Mi sono trovato complessivamente bene.
La mia famiglia non ha mai usufruito del “buono scuola”.
Trovo giusto che alla scuola privata corrisponda un costo. Non trovo giusta l’impostazione del buono scuola.
L’ottimo sarebbe un minimo sgravio fiscale per quanto riguarda le tasse scolastiche: ma questo è un argomento complesso, che meriterebbe una riflessione a sé.