Bersani o Renzi? Mi astengo

Il confronto all’americana tra Bersani e Renzi in vista del ballottaggio di domenica è appena terminato. Senza nulla concedere alla partigianeria, sentimento che non mi appartiene, ho condiviso ora idee dell’uno e ora idee dell’altro. In fondo sono tutti e due figli, seppure in modo diverso, di quella sinistra cui appartengono molte delle mie idee. Domenica ho scelto Renzi ma domenica prossima riabbraccerò un caro vecchio amico, l’astensionismo, che sarò felice di abbracciare anche alle politiche.

Si, lo so, nel post su Grillo e le elezioni siciliane ho detto che l’astensionismo era pericoloso ma solo gli idioti non cambiano mai idea. Alla base della mia decisione ci sono alcune motivazioni maturate nell’ultimo mese, dopo aver seguito confronti e dibattiti. Ritengo infatti di avere ragioni sufficienti per non votare né l’uno né l’altro e vado ad illustrarle.

Considero Bersani un fine politico, un potenziale ottimo ministro (il suo passato parla per lui) ma non un leader. Di un governo Bersani mi spaventano due elementi. Una certa subalternità alla voce grossa della Cgil e le improbabili alleanze. Partiamo da queste ultime. Un Pd alleato con l’Udc di Casini puzzerebbe di naftalina e credo che sia finalmente tempo, per questo Paese, di disfarsi delle macerie della Democrazia Cristiana. Quarant’anni di predominio più altri venti di presenza latente sono stati più che sufficienti. Senza contare che molte delle riforme immaginate da Bersani e ribadite ancora una volta nel confronto (due esempi su tutti, le coppie di fatto e i diritti dei gay) finirebbero per essere abortite ancora prima di essere proposte. Sapore d’antan avrebbero anche alleanze con Vendola (oserei dire quasi inevitabile) e con Di Pietro, probabili fomiti dei vari Turigliatto e Mastella di turno, pronti a far cadere un governo traballante per questa o quella prebenda.

Il peso, ancora preponderante, di quel poltronificio per amici e sodali che è il sindacato (la Cgil in questo caso) mi spaventa quasi altrettanto. La situazione italiana richiede soluzioni forti, forse anche scomode ma certamente necessarie senza che qualcuno si metta ad abbaiare pensando più a se stesso che ai diritti dei lavoratori.

Prendiamo ora l’altro caso. Un governo Renzi mi spaventa per altri motivi. È ormai sotto gli occhi di tutti che Matteo Renzi è un Martin Lutero all’interno del suo partito, uno scomodo contestatore (rottamatore se preferite) che minaccia di turbare la prima consacrazione, quasi certa, del Pd come principale partito italiano. Se anche l’elettorato di centrosinistra decidesse di affidare a lui il compito di sfidare il candidato avversario ci troveremmo di fronte ad una situazione paradossale. Matteo Renzi si troverebbe candidato premier di un partito di cui non è segretario, avversato da una cospicua parte della base e di fatto messo in condizione di non poter governare e di dover ricorrere, giocoforza, ad alleanze e alla costante minaccia di uno sgambetto. I bersaniani, quelli di ferro almeno, potrebbero anche decidere di astenersi in massa pur di non votare chi ha gettato cotanto scompiglio nel partito. Insomma, da un probabile rinnovamento ad una storia triste ormai vista e rivista.

Soltanto il risultato non cambierebbe. A rimetterci sarebbe, ancora una volta, il Paese tutto che ha bisogno ora più che mai di stabilità, di un governo forte che possa portare avanti riforme potendo contare su una maggioranza sicura e di scelte strategiche per non cadere nel baratro.

Nel dubbio, io preferisco astenermi, come peraltro ho fatto nelle precedenti tornate elettorali regionali, amministrative ed europee e alle ultime politiche. L’astensionismo è pur sempre una scelta, la scelta di non affidare il voto a chi non può fornire adeguate garanzie, il rifiuto categorico del montanelliano “mi turo il naso” e del “voto il meno peggio”. Del resto ci sarà una ragione se in molti sostengono che per vincere bisogna anche convincere i “delusi”.

Alessandro Porro

@alexxporro

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