A prescindere dalla verità che le urne restituiranno fra poco meno di un mese il vero convitato di pietra al banchetto elettorale sarà l’astensionismo. Il non-partito per antonomasia potrebbe sfiorare percentuali mai raggiunte prima, nemmeno nei periodi più bui della Repubblica. E se l’accendersi della contesa pre-elettorale gli aveva rubacchiato qualche punto, lo scandalo Mps e il legame banche-politica potrebbero portare nuova linfa vitale al non voto.
L’astensionismo in piccole percentuali è sempre stato presente in Italia. Percentuali quasi plebiscitarie (92%) nell’affluenza si riscontrano solo nell’infanzia della nostra Repubblica e fino agli anni Settanta. Logico comportamento per un popolo che vedeva nel voto una dolorosa conquista dopo vent’anni di dittatura e l’astensione come una controproducente forma di anticonformismo, se non come un comportamento meritevole di biasimo. I primi scandali e l’emergere della corruzione nella politica hanno progressivamente eroso, a partire dagli anni Settanta, quelle percentuali. L’anno boa è senz’altro quel 1976 nel quale il Pci rischiò di interrompere il dominio incontrastato della Dc. La percentuale di astenuti, fino a quel momento attestatasi al 6,6%, iniziò a crescere. Tangentopoli, la fine della Prima Repubblica e un acuito sentimento di sfiducia verso i partiti a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta fecero il resto.
Ondivago l’andamento dell’astensionismo nell’ultimo decennio. Nel 2001 la percentuale di astenuti raggiunse il 18,6%. Nel 2006 regredì fino al 16,4% per poi risalire fino al 19,5% nelle politiche del 2008. Ancora più indicativo il dato dell’affluenza alle comunali del 2012 quando al primo turno votò il 66,88% degli elettori interessati dalle consultazioni e al secondo turno il 51,38%.
E oggi? La situazione che ci troviamo a vivere non autorizza a pensare ad una regressione ampia dell’astensionismo. Scandali e malversazioni bipartisan, una forbice sempre più ampia tra classe politica e paese reale e il vento dell’antipolitica che da alcuni anni spira forte nel nostro Paese hanno consentito all’astensionismo di centrare un risultato storico in Sicilia. Nelle ultime elezioni regionali, a fine ottobre, il 52,58% degli elettori non si è presentato alle urne. Un unicum nella storia italiana. Se in capo ad un mese si fosse andati alle elezioni, con tutta probabilità, avremmo letto lo stesso risultato su scala nazionale.
La grande prova di democrazia interna offerta dal centrosinistra con le primarie di coalizione, l’emergere di una figura da molti ritenuta “nuova” come quella di Matteo Renzi ha in parte mutato le cose. L’astensionismo è calato nei sondaggi a favore del Pd che tra novembre e dicembre sfiorava i 40 punti percentuali. La discesa in campo di Berlusconi prima e la salita in politica di Monti con il ricostituirsi, attorno al professore, di un centro embrionale hanno arricchito un’offerta elettorale prima particolarmente scarna, rosicchiando qualcosa al Pd e anche alla zoccolo duro di astensionisti. Segno che l’ampio astensionismo di ottobre altro non era che una risposta allo stallo delle formazioni politiche, all’apatia introdotta dall’interregno dei tecnici. Senza contare un certo grado di sfiducia.
Negli ultimi giorni i sondaggi restituiscono percentuali di astensione vicine al 25% e definite fisiologiche ma lo scandalo Mps potrebbe ribaltare un’altra volta il discorso. C’è tuttavia un dato del quale i nostri politici dovrebbero tenere conto. L’astensionismo è il primo partito fra i giovani tra i 18 e i 34 anni, sebbene si tratti di una tendenza in calo. Colpiti dalla crisi più di altre fasce, delusi da quei politici avvertiti come “vecchi”, privi di speranza nel futuro i giovani sembrano avere trovato nella rinuncia al voto un modo per manifestare pacificamente il disgusto verso la classe politica. Stando al sondaggio condotto da Mtv Italia il 74% dei giovani associa la politica alla corruzione. Quando manca meno di un mese alle elezioni 6 giovani su 10 (62%) dichiarano di voler andare a votare. Il 73% del campione considera inoltre l’astensionismo come una forma di protesta. Va ricordato però che in Italia sussiste sempre una certa forma di vergogna nell’ammettere che non si andrà a votare e molti preferiscono astenersi votando scheda bianca o annullandola. La possibilità, vera o presunta, di far registrare al seggio il proprio rifiuto del voto potrebbe poi “nascondere” astensionisti anche in quel 62% di giovani che ora si dice certo di andare a votare.
La verità si saprà soltanto ad urne chiuse quando il dato aggregato astenuti-schede bianche/nulle darà un quadro completo ed esaustivo. E potrebbe trattarsi di un risultato di fronte al quale difficilmente la nostra classe politica potrà chiudere gli occhi.
Alessandro Porro