Petacco ha recentemente concesso la sua voce al Blog di Beppe Grillo per parlare di un evento capitale della storia d’Italia, il delitto Matteotti. Forte della recente pubblicazione del suo nuovo libro, La storia ci ha mentito – il cui titolo è tutto un programma, Petacco è pronto a rischiararci la mente su un episodio di complessa e ancora molto discussa interpretazione.
La tesi di base è che Mussolini sia estraneo al delitto. Su questo, a suo parere, non ci sarebbero dubbi.
Il nostro fa riferimento al fatto che il «listone» nazionale, guidato dal duce, avesse conseguito una clamorosa vittoria alle elezioni del 1924 ottenendo più del 60% dei consensi.
Perché mai Mussolini, in questa posizione di potenza, si sarebbe dovuto preoccupare di eliminare un personaggio come Matteotti il cui partito «era al 18-20 %»?
Fandonie, afferma Petacco, non ci furono intenti violenti, né alcuna volontà di minacciare da parte del nuovo capo del governo: fu semplicemente l’azione di un manipolo di manigoldi.
Ad essere del tutto onesti e sinceri, pare strano che un nome del calibro di Petacco si lanci a scrivere rivisitazioni del genere; e soprattutto che le scriva in un italiano diciamo “meno che perfettissimo”. Ma l’articolo in questione non lascia dubbi, chiama in causa proprio il buon Arrigo, e dunque cominciamo a entrare nel merito.
Lo dico subito: l’articolo è lungo, perché la questione merita di essere indagata in ogni particolare. Se avrete la pazienza di seguirmi (cit.), capirete perché.
Petacco dice bene: Mussolini stravinse. Il problema è come stravinse. Un clima di tensione, di intimidazione e di violenza fu instaurato in prossimità delle elezioni del ’24: il duce fece poco o nulla per sedare o reprimere le illegalità.
Sì, aveva cavalcato per un po’ il cavallo della normalizzazione, facendo in modo che gli squadristi rinfoderassero le armi, ma non poteva – né voleva – disarmarli del tutto. Ne aveva ancora bisogno, durante quelle elezioni più che mai. Lui stesso lo riconobbe in seguito.
Questo è stato accertato da tutte le ricostruzioni storiche fin qui avvenute e dunque, fino a prova contraria, costituisce una piccola verità storica. Inoltre, per correttezza di dati, il partito di Matteotti – il Partito Socialista Unitario (PSU), non «i socialisti» come afferma genericamente Petacco – prese meno del 6% dei voti, altro che 18-20%!
Poi, se si confrontano i dati delle elezioni del 1924 con quelli delle elezioni precedenti (1921), si notano degli eclatanti e quasi incredibili arretramenti delle posizioni di tutti i partiti non schierati a fianco dei fascisti (vedi immagine 1 in Galleria Immagini).
Petacco si sarà fatto due domande su questo?
Andiamo però al punto: Mussolini fu estraneo o no al rapimento e al delitto di Matteotti (10 giugno 1924)? La questione è invero assai controversa e fa ancora discutere.
È noto che la denuncia dei brogli elettorali e delle violenze da parte del deputato riformista (avvenuta con un famoso discorso alla Camera il 30 maggio 1924) fece saltare più di un nervo ai fascisti, in particolare al duce. Quest’ultimo in un momento di escandescenza urlò: «Quell’uomo dopo quel discorso non dovrebbe più circolare…».
La totale estraneità di Mussolini all’evento è in effetti una posizione poco plausibile e difficile da sostenere: la storia della sua ascesa al potere è segnata, fin dall’inizio, dalla giustificazione o dalla non repressione di atti di crudele ed efferata violenza politica.
I famosi squadristi, gli intransigenti del fascismo, furono l’altro cavallo che Mussolini alternò a quello della normalizzazione nella brutale partita a scacchi per raggiungere il suo scopo.
Dunque andrebbe quanto meno ammessa la possibilità di una responsabilità indiretta, quella di un istigatore che avrebbe avuto – da tempi non sospetti, peraltro – la responsabilità morale e politica di aver creato e alimentato un clima generale di intolleranza e di violenza.
Ma il coinvolgimento di Mussolini potrebbe essere andato ben oltre. Se si osserva l’atteggiamento che tenne nei tre giorni successivi al delitto, si potrebbe osservare come egli – anche una volta venuto a conoscenza dei dettagli, noti tra l’altro anche a De Bono, capo della polizia – abbia tentato di tenere nascosto il crimine.
Allo stesso modo si potrebbe notare la lentezza con cui vennero arrestati i colpevoli (che pure erano tutti personaggi noti all’ambiente fascista in quanto membri della ceka, una squadra speciale e non certo una muta di cani sciolti).
Insomma, forse Mussolini non fu il mandante diretto, ma l’ipotesi della sua completa estraneità al delitto non regge.
Ma passiamo oltre. Petacco sostiene che vi fosse stato, all’indomani di quelle famose elezioni del ’24, un tentativo da parte di Mussolini di aprirsi “a sinistra” in vista di un governo di pacificazione nazionale. Non era solo una velleità del duce però: «in molti erano già d’accordo con lui a entrare nel governo, solo che la lotta era tra gli estremisti fascisti e gli estremisti socialisti».
In altre parole, Mussolini cercava un’intesa con «la parte morbida del socialismo», ma la trattativa sarebbe saltata per via della lotta tra opposti estremismi di destra e di sinistra.
Considerazioni, ci sia concesso, alquanto vaghe e imprecise. Verso chi, esattamente, si aprì il duce?
Chi erano queste moltitudini di rappresentanti della sinistra già disponibili a entrare nel governo?
E quando, di preciso, esplosero queste mastodontiche tensioni tra opposti estremismi che avrebbero impedito a Mussolini – fin qui abilissimo stratega e calcolatore politico – di realizzare i suoi progetti?
Finalmente Petacco si degna di citare uno straccio di fonte, seppur secondaria. Si tratta dell’accuratissimo e documentato lavoro di Renzo De Felice intorno alla figura di Mussolini. Bene, se però andiamo a leggere la fonte citata dal nostro e la confrontiamo con altre ricostruzioni storiche, vediamo emergere un quadro alquanto diverso.
Il duce non cercò di riproporre a sinistra ciò che aveva fatto con le forze di destra: l’unico interesse che ebbe sempre era semmai un indebolimento dei tre partiti “socialcomunisti”.
Mussolini tentò, è vero, qualche avance verso la Confederazione Generale del Lavoro (CGL). Un progetto non nuovo, che il duce accarezzava da tempo, ma che doveva attuare con cautela, col minimo possibile di scosse interne.
Ma le manovre, dagli esiti ancora incerti già prima delle elezioni, non andarono a buon fine: Turati si accorse dell’arlecchinata del duce, Buozzi si era dichiarato contrario a cedimenti o a possibili collaborazioni, Matteotti pronunciò il famoso discorso di denuncia. I vari D’Aragona, ma soprattutto Colombino e Baldesi – più disponibili al collaborazionismo, ma certo non «già d’accordo con lui a entrare nel governo» – furono spiazzati dal successivo corso degli eventi.
Lo stesso De Felice ritiene che l’ipotesi per cui l’omicidio fosse funzionale a impedire l’accordo tra Mussolini e i confederali è difficilmente accettabile, poiché manca di elementi che possano suffragarla.
Ora, se uno storico viene smentito dalla stessa fonte che cita, c’è evidentemente qualcosa che non va nella sua ricostruzione.
Ma parliamo invece della lotta tra estremismo di destra e di sinistra che, secondo Petacco, avrebbe paralizzato l’azione di Mussolini. È senz’altro vero che inizialmente il duce restò spiazzato di fronte all’omicidio di Matteotti e ai fatti immediatamente seguenti, ma è anche vero che recuperò molto rapidamente le forze e la sua sicurezza.
È vero anche che vi fu allora una recrudescenza di violenze squadriste, la cosiddetta «seconda ondata», che rappresentò una sorta di “patata bollente” per il capo del governo.
Ma gli antifascisti? In realtà è un momento di disorientamento generale: c’è stata la secessione dell’Aventino, ma nessuna iniziativa concreta è seguita; gli unici gruppi votati all’azione rivoluzionaria erano in difficoltà organizzativa e in crisi per via delle violenze subite.
La popolazione stessa era desiderosa di calma e sicurezza, mancava inoltre della forza e della volontà di opporsi al governo.
Insomma, questo turbinio di scontri tra opposti estremismi (infelice quanto decontestualizzato il confronto con il caso Moro azzardato dal Blog!) fino a prova contraria, non solo non ci fu, ma neanche mise in scacco Mussolini.
Il duce, da quanto emerge dai documenti a disposizione, fu tutt’altro che una vittima degli eventi e non venne affatto costretto a svoltare verso la dittatura a viso aperto da parte degli intransigenti fascisti, come vorrebbe Petacco.
Basta guardare a come il nostro abbia saputo gestire la crisi immediatamente successiva all’affaire Matteotti e come abbia saputo domare e cavalcare il cavallo della violenza – come ai vecchi tempi – per intimorire e ridurre al silenzio gli avversari; ne pagherà le conseguenze, tra gli altri, anche Amendola, nel corso dell’anno successivo.
Anche il “pronunciamento dei consoli” del 31 dicembre 1924 lo trova tutt’altro che smarrito e impotente.
Il famoso discorso del 3 gennaio 1925 non è il discorso di una personalità debole e forzata a prendere una decisione impopolare, ma l’affermazione completa dell’autoritarismo mussoliniano: laddove non è riuscito ad arrivare con la normalizzazione, egli arriva giustificando la violenza e l’illegalità, facendosi carico della responsabilità morale, politica e storica degli eventi.
Arriviamo infine alle ipotesi sul perché Matteotti fu ucciso. Qui ovviamente la questione è apertissima, il campo dell’interpretazione del fatto supera la ricostruzione stessa.
Petacco sostiene che Mussolini non avesse bisogno di far rapire e uccidere Matteotti, e su questo si potrebbe anche concordare perché in effetti non c’era da trarne alcun vantaggio.
Viene però insinuata l’ipotesi di un rapimento organizzato da un non ben precisato gruppo di industriali atto a sottrarre al deputato riformista della documentazione riguardante «una compagnia petrolifera americana che faceva delle trivellazioni in Puglia proprio in quel periodo lì».
Petacco fa probabilmente riferimento alla vicenda della Sinclair Exploration Company che avrebbe allora ottenuto dal governo una licenza per condurre ricerche petrolifere in Emilia e in Sicilia, ma si tratta per l’appunto solo di un’ipotesi – che non è documentabile anche se non del tutto inverosimile.
Però il problema resta aperto e Petacco non va oltre il generico affermando che il delitto «fu casuale».
È quantomeno possibile, però, dubitare di tale ipotesi. Stando a quanto abbiamo detto all’inizio – ovvero al fatto che Mussolini potrebbe non essere il mandante diretto dell’omicidio, ma che ne resterebbe, fino a prova contraria, in certa misura corresponsabile – pare che l’evento possa rientrare nella generale casistica delle spedizioni punitive da parte squadre fasciste.
Restano tuttavia aperti degli interrogativi, uno su tutti: perché mai se ne incaricò la ceka fascista e non una semplice squadra?
Non pare plausibile che l’evento volesse essere una semplice “lezione”; piuttosto, è più verosimile configurare un piano ben articolato e architettato: il giorno prima del delitto la macchina dei rapitori era già stata avvistata vicino all’abitazione di Matteotti, in atteggiamento sospetto.
Alcuni storici hanno sostenuto che la sparizione sarebbe dunque dovuta avvenire rapidamente, senza destare sospetti e restare pertanto avvolta nel mistero; l’uccisione sarebbe poi dovuta avvenire in ambiente isolato e il cadavere occultato in modo che non potesse essere più ritrovato.
Come ho sottolineato, siamo sul puro e semplice piano delle ipotesi. Una cosa è però, ci pare, abbastanza certa: la ricostruzione e l’interpretazione fornite da Petacco fanno acqua e da più di una parte.
Lo storico non tiene presente a sufficienza il contesto in cui il tutto avvenne: Petacco lascia intendere che quelle del 1924 fossero normali e legali elezioni, che Mussolini non fosse in alcun modo coinvolto con le violenze compiute dai suoi uomini, che gli intransigenti fascisti fossero capaci da soli di mettere in scacco il loro stesso duce. Inverosimile.
Inoltre la sua ricostruzione è densa di vaghezze e di imprecisioni storiche, manca il riferimento a fonti o documenti che possano fermamente smentire le ricostruzioni sin qui ritenute valide. E bisognerebbe anche notare come, in più di un passaggio, la sintassi e la costruzione dei periodi siano alquanto imbarazzanti. Arrigo, ma sei proprio tu?
Ma già l’antifona non era stata delle più felici: «È un delitto stranissimo perché io, che oltre lo storico ho fatto anche il giornalista di cronaca nera, ho seguito il fatto come è accaduto veramente, senza tutto il ciarpame che ci hanno fatto sopra».
E allora? Essere storici e giornalisti insieme non fornisce alcuno statuto di veridicità totale alle nostre versioni: la verità con la V maiuscola è qualcosa che si raggiunge con difficoltà, per progressive approssimazioni, mai da soli e quasi mai in una volta sola.
Dovrebbe essere un’ovvietà e Petacco, che non è certo il primo che passa, dovrebbe esserne ben consapevole. Ammesso che non sia arrivato a sentirsi un padreterno.
Potremmo aprire un capitolo enorme sui problemi connessi alla ricostruzione storica e ai limiti del suo statuto scientifico, ma non è questa la sede adatta. Resta il fatto che chiunque inserisca una sentenza del genere nel suo discorso deve (dovrebbe) risvegliare i nostri dubbi, i nostri sospetti.
Lo storico – e il giornalista men che meno – non è latore di alcuna verità definitiva, lo è al massimo di una ricostruzione il più possibile verosimile, onesta e fondata condotta secondo un metodo preciso e quanto più rigoroso.
La ricerca e la ricostruzione storica tentano dunque di far emergere dal passato delle verità, ma queste possono essere sempre rafforzate come indebolite, possono essere criticate/confermate/confutate/aggiunte a quelle precedentemente formulate; possono e devono essere però anche verificate ed eventualmente falsificate.
Sarebbe bello se la storia potesse essere un oracolo di Delfi. Ahimè, non è così. Ma Petacco, a quanto pare, può chiamarsene agilmente fuori.
L’ho già detto in precedenza e torno a dirlo: non si può, non si deve, lasciare la divulgazione storica nelle mani di giornalisti o di improbabili personaggi affamati di sensazionalismo e di rivelazioni “acchiappa-click”. È necessario che gli storici tornino nella sfera pubblica, che scendano se necessario al livello di una sana e puntuale divulgazione perché con la storia non si può scherzare.
Non dovrebbe essere un dottorando in storia a rispondere a un personaggio del calibro di Petacco, ma uno storico ben più titolato ed esperto.
Comunque, al di là di questo, il Blog di Beppe Grillo – è indifferente chi si è celato dietro a questo nome – ha fatto uno scivolone non da poco, dato che non ha neanche sottoposto a verifica le tesi del saggista.
E, con rispetto parlando, Petacco in quest’occasione ha dimostrato di essere un patacca. Passate parola.
doc. NEMO
@twitTagli