
A. Ambulanza.
Il generale chirurgo barone Dominique-Jean Larrey, stimatissimo medico della Guarda imperiale, è angelo dei campi di battaglia.
L’Imperatore Napoleone Bonaparte dice di lui:
“È l’uomo più onesto e il miglior amico dei soldati che io abbia mai conosciuto.”
Il capo chirurgo è convinto che prima si operi un ferito, maggiori siano le possibilità di salvarlo. Inventa dunque l’ “ambulanza volante”, uno speciale veicolo trainato da cavalli veloci e robusti, dotato di sospensioni e con la parte anteriore girevole.
È una carrozza chiusa snodabile, che carica i feriti non dopo la battaglia ma durante. L’ambulanza volante, antenata di quelle odierne a motore, corre all’impazzata sul campo di Waterloo superando buche, mucchi di cadaveri, barriere di cavalli morti, tra la nebbia grigia artificiale di polvere da sparo, la pioggia di palle di cannone e le grida strazianti di chi è a terra, per salvare vite.
A. Aquile.
Napoleone fugge dall’Elba per l’ultima grande avventura dei 100 giorni.
Molti sono i francesi entusiasti. La maggior parte dei soldati è come posseduta da esaltazione. Non hanno scordato il loro imperatore, non hanno dimenticato la potenza della Francia imperiale sotto la guida del piccolo caporale corso, geniale condottiero della Storia.
I vecchi simboli non sono stati distrutti, ma solo nascosti: dagli armadi e da sotto i materassi ricompaiono le aquile imperiali, insegne su asta riprese dall’estetica di guerra delle legioni di Roma antica. Gli ufficiali rinnegano il debole giuramento di fedeltà con l’obeso e inutile Luigi XVIII restaurato, il loro unico comandante è solo Napoleone!
“Vive l’Empereur!”
In un reggimento della Guardia, si stringono i soldati intorno all’aquila, ricordo glorioso di tante campagne e lotte; è l’idolo di legno e ottone, il totem di guerra.
Piangono, si abbracciano, per Napoleone si getterebbero tra le fiamme dell’inferno.
Così sarà.
B. Blücher.
Il principe maresciallo Gebhard Leberecht von Blücher è acerrimo nemico di Bonaparte. È un vecchietto terribile di 74 anni, un capoguerra di Prussia per nulla stanco, decisamente ardimentoso. È amato e stimato dalla truppa. L’hanno sopprannominato Marshall Vorwärtz – Maresciallo Avanti.
Nomignolo azzeccato, quel vecchio combattente ha la smania di menar le mani.
Con la vecchiaia gli spunta qualche tarlo in testa, rasenta momenti di pazzia. Curioso, talvolta è convinto di esser stato violentato da un fante francese e di essere incinto di un piccolo, magnifico, adorabile elefante. Mamma Blücher e il piccolo Dumbo. Mah.
Certo è che si sostiene durante battaglie e campagne con grappa, di cui ne è piuttosto ghiotto.
Nonostante la sonora batosta che Napoleone gli ha inferto due giorni prima a Ligny, il Maresciallo Avanti mantiene la promessa fatta al Duca di Wellington e riesce ad intervenire a Waterloo in tempo, diventando nella Storia uno dei grandi protagonisti di quell’evento tragico e memorabile.
C. Cannoni.
Bonaparte ha iniziato la sua carriera come artigliere, ha sempre riposto difatti una grande fiducia nei suoi cannoni. A Waterloo si è portato dietro 246 bocche da fuoco, contro le 157 del Duca di Wellington, suo storico acerrimo nemico con cui ora si trova alla resa dei conti finale, nell’ultimo duello.
Sotto il tricolore francese è schierata la Grande batteria: una mostruosa fila di 80 cannoni pesanti con il compito di martellare senza sosta le posizioni nemiche, per smantellarle, per farle a pezzi.
Un pugno di ferro che picchia il terreno.
“Feu!”
80 cannoni ringhiano all’unisono e la terra trema. È artiglieria d’attacco, non di difesa, serve a indebolire lo schieramento avversario prima degli assalti della cavalleria e della fanteria. Le palle di cannone volano sui campi di segale in scie grigie, rimbalzano in flipper mortali nei ranghi affollati dei reggimenti.
C. Charge.
Ore 13.30 del 18 giugno 1815, Waterloo, prussiani in pericoloso avvicinamento, merde!
Bisogna spicciarsi a concludere la partita con le forze britannico-olandesi di Wellington, prima che quella vecchia canaglia di Blücher giunga a dar manforte al nemico.
Il generale d’Erlon, arringa:
“Oggi si vince o si muore!”
Le truppe, rispondono:
“Vive l’Empereur!”
I 14.000 francesi del 1° Corpo d’armata muovono all’attacco, i passi scanditi dal pas de charge suonato dai tamburini, ritmo d’assalto, rullio incalzante, accompagnato dal grido a squarciagola degli uomini: “Vive l’Empereur!”.
È la colonna sonora della battaglia, trombe e tamburi e cori e comandi urlati tra le scariche di migliaia di moschetti e il fuoco dei cannoni. E gli uomini cadono a centinaia.
“Serrate i ranghi!”
I. Immortali.
La Guardia imperiale è un esercito nell’esercito. È l’elite militare di Napoleone. Si compone di Giovane, Media e Vecchia Guardia.
Per far parte della Vieille Garde, la crème de la crème,occorre essere veterani con almeno tre campagne belliche alle spalle, ed aver dimostrato di essere soldati valorosi e fedelissimi. Truppe d’assalto, vestono divise diverse, ricevono una paga migliore, hanno musi da forca, portano baffoni neri, orecchini d’oro, ciacatrici a ricordo dei corpo a corpo in giro per l’Europa in guerra, indossano cappelli enormi, sono energumeni, fanno paura. Quegli orchi, disciplinati e imbattuti, sono Les Immortels – Gli Immortali.
Questa forza speciale viene schierata solo quando è necessario capovolgere le sorti di una battaglia, quando le cose si mettono male per Napoleone, quando la situazione si fa davvero disperata come quella sera del 18 giugno 1815.
La Guardia imperiale è l’asso nella manica di Bonaparte, che getta sul tavolo di quella partita disgraziata con Wellington.
È l’ultima mano del poker di Waterloo. Napoleone va in all in, le ultime sue fiches sono undici battaglioni della guarda, una forza superstite di 6000 veterani.
Avanzano lenti ma truci in formazione a quadrato, per proteggersi da eventuali attacchi di cavalleria. Il fuoco a mitraglia degli anglo-olandesi miete centinaia di vittime, ma i francesi non si fermano, continuano ad avanzare.
Le unità del nemico sono però molto meglio posizionate ed in un numero maggiore, i fucilieri della coalizione scagliano addosso ai veterani un diluvio devastante di proiettili.
I battaglioni cacciatori della Guardia che risalgono il pendio senza ostacoli si trovano improvvisamente di fronte ad un’amara sorpresa. Oltre 2000 britannici li aspettano sdraiati e invisibili. Ad un comando secco, quegli uomini balzano in piedi con i fucili carichi e fanno fuoco tutti assieme: falce di piombo.
L’elite di Napoleone combatte e soccombe.
Non era mai successo, è una tragedia per tutta la Grande Armée. La vista degli Immortali che muoiono è uno shock. Coloro che non hanno mai perso, adesso perdono, ripiegando disordinatamante e trascinando nel panico i resti dell’esercito.
“La Guardia si ritira!”
L’angoscia è virale, si diffonde in tutti i reparti. È la fine. Alcuni quadrati francesi, ostinati ed orgogliosi, consci della disfatta e fieri fino all’ultimo, continuano a lottare. Gli ufficiali urlano:
“La Guardia imperiale muore, ma non si arrende!”
“I farabutti come noi non si arrendono!”
“Merde!”
Ma è tutto finito, su Waterloo e sul destino di Napoleone Bonaparte cala la notte.
I. Inizio.
Il combattimento di Waterloo incomincia alle ore 11.20 della mattina del 18 giugno 1815; si presume che il primo sparo dello starter sia francese.
Ad iniziare le danze dunque, è un cannone di Napoleone.
J. Jambon.
Nella settima coalizione, l’ultima alleanza militare contro Napoleone, militano le grandi potenze mondiali come Gran Bretagna, Russia, Prussia; partecipano importanti nazioni come Spagna, Portogallo, Regno di Sardegna, Svezia, il neo Regno Unito dei Paesi Bassi; danno il loro contributo in uomini e armi paesi piccini come il Gran Ducato di Toscana e quelli dell’allenza di stati tedeschi, e tra essi c’è il Ducato di Brunswick.
Si tratta del dominio senza terra di Federico Guglielmo “il Duca Nero”, erede della casata dei principi Brunswick-Wolfenbüttel-Oels, rapinati sulla carta d’Europa dalla geografia imperiale che ha fondato il regno di Vestfalia, uno dei tanti cadeau di scettro e corona dell’imperatore alla famiglia; in questo caso il trono è dato allo scapestrato Girolamo, fratello disprezzato, scavezzacollo, imbecille del Bonaparte.
Sta di fatto che il Duca Nero Federico Guglielmo odia senza riserve la Francia e tutta la stirpe dei Bonaparte che l’hanno cacciato dai possidementi secolari della famiglia Brunswick.
I suoi ultimi anni di vita sono dedicati senza riserve a esautorare gli usurpatori e alla vendetta, fino a cadere stecchito nella battaglia di Quatre-Bras, due giorni prima di Waterloo.
È capo di un piccolo ma feroce esercito: la Schwarze Schar – la Banda Nera – L’orda Nera.
Fanno paura i fanti, a vederli marciare in formazione compatta con quelle divise nero tenebra con il grande teschio e le tibie d’argento Totenkopf sui cappelli, così come sui copricapi a quadricorno czapka degli ussari e degli ulani della morte. È possibile che gli stilisti nazisti delle SS abbiano tratto ispirazione da quell’esperienza del passato per una certa estetica demoniaca.
L’esercito del Duca Nero senza trono è formato da 2.000 uomini votati alla guerra. Hanno pessime abitudini, tra cui mangiare cani. Il 95° fucilieri di sua maestà Giorgio III di Gran Bretagna ha una mascotte, un coraggioso cucciolone di nome Rifle, che accompagna il reggimento abbaiando dietro le fila in marcia e nel caos della battaglia, eccitatissimo tra schioppettate e bombardamenti.
Un giorno Rifle sparisce, presumibilmente finito nel pentolone della cucina da campo della Banda Nera, che sghignazza maligna dell’impresa pulendosi i denti al passaggio degli inglesi del 95°.
Le giubbe verdi se la legano al dito. Sul campo di battaglia tolgono le braghe ai cadaveri francesi e con il coltello affettano dalle chiappe dei nemici morti delle sottili striscie di carne. La sera, in omaggio all’alleanza internazionale, offrono agli amici della Schwarze Schar una cena di carne umana, spacciandola per del gustoso prosciutto.
Ride bene chi ride ultimo, la vendetta è un piatto di prosciutto da consumare freddo.
M. Macelleria.
Alla fine dello scontro epico, l’intero campo di battaglia è ricorperto di cadaveri e moribondi. Alcune scene fanno raggelare il sangue.
In un angolo, dove una carica di cavalleria pesante francese si è sfogata triturandosi contro le scariche e le baionette di Wellington, cavalli e uomini sono ammucchiati tra loro: alcuni corazzieri sono ancora in vita intrappolati sotto i propri destrieri morti, mentre altri sono sotto l’ammasso di cavalli agonizzanti. Questi, contorcendosi, sbriciolano le ossa degli uomini incastrati sul fondo: è una massa raccapricciante di gambe spezzate, nitriti di dolore, urla terrorizzate.
Molti feriti gravi vengono portati a Waterloo, e a ridosso di un granaio, è allestito un ospedale da campo.
I chirurghi insonni segano arti a centinaia. Le orride cataste di braccia e gambe amputate si alzano sempre di più.
Altri feriti finiscono a Bruxelles, molti dei poveretti sono abbandonati sulla paglia senza alcuna assistenza medica, in lunghe file di strazi e lamenti: francesi ora a fianco di prussiani ed inglesi. Non più nemici; camerati nel dolore.
Intorno alla mattanza avvenuta attorno al castello di Hougoumont si alzano al cielo nuvole di fumo acre. Grandi pire ardono incessantemente per otto giorni e otto notti, le cui fiamme sono alimentate dal grasso della carne umana.
I becchini reclutati lavorano come operai di uno sterminio di massa: con lunghi forconi attizzano il fuoco spostando le ossa come se fossero brace. Come se non bastasse, ad aggiungere orrore a questa scena d’inferno in terra, ecco che escono con le tenebre gli sciacalli affamati.
Alcuni contadini del luogo si fanno razziatori, avvoltoi e streghe della plebe, che saccheggiano i cadaveri ma anche i feriti non ancora raccolti, e se quest’ultimi oppongono resistenza non esitano a dar il colpo di grazia con l’accetta o il falcetto, spingendosi pure a cavare i denti ai morti.
À la guerre comme à la guerre.
O. Opportunismo.
Il viziaccio dei mass media di essere funambolici voltagabbana a seconda di come soffia il vento del potere è caratteristica antica.
Napoleone fugge dall’isola d’Elba, per riprendere il potere in Francia, tutto e subito.
Il viaggio dell’imperatore ritrovato è accompagnato dai titoli dei giornali parigini, leggiamoli assieme:
La Tigre è uscita dalla tana
L’Orco ha viaggiato per tre giorni per mare
Il Miserabile ha raggiunto il Fréjus
L’Avvoltoio è già ad Antibes
L’Invasore è arrivato a Grenoble
Il Tiranno è entrato a Lione
L’Usurpatore avvistato a ottanta chilometri da Parigi
Domani Napoleone sarà alle nostre porte!
Oggi l’Imperatore giungerà alle Tuileries
Domani Sua Maestà imperiale parlerà ai suoi leali sudditi
L’inchiostro simpatico degli scribacchini camaleontici fa le piroette sulla carta, il miserabile orco, avvoltoio e tiranno, è tornato Sua Maestà l’Imperatore.
Umili inchini dei leali sudditi.
P. Picton.
Il generale gallese Thomas Picton è uno dei protagonisti della battaglia di Waterloo. Ufficiale veterano dal sangue caldo, irascibile e coraggioso, è definito dal suo superiore Wellington come un diavolo rozzo e sboccato.
In Belgio combatte con abiti borghesi, veste un pastrano logoro e un brutto cappello démodé, perché ha perso il suo bagaglio.
È senza dubbio un validissimo soldato, ma da alcuni tempi soffre di disturbo post-traumatico da stress. Troppa guerra, troppa tensione accumulata in anni di grandi battaglie per il vecchio Picton. Ha supplicato il Duca di rimandarlo a casa:
“Non posso continuare così. È tale la mia ansia che, prima di una missione, non riesco a chiudere occhio. Non ce la faccio più.”
Ma il Duca lo chiama lo stesso, perché sa che il carismatico Picton è uno dei pochi a ottenere disciplina e rispetto tra i ranghi di quella che è definita come “accozzaglia della peggior feccia”.
Picton ubbidisce a malincuore, e prima di lasciare la Gran Bretagna, in uno stato di forte agitazione, entra in un cimitero e si corica in una fossa appena scavata e ancora libera:
“Credo che questa faccia al caso mio.”
Premonizione giusta, per sua sfortuna.
Mentre è alla testa della quinta divisione di fanteria britannica, in disperata difesa contro un imponente assalto francese, una pallottola gli buca il cilindro e il cranio.
Cade stecchito. Le ultime sue parole:
“Caricate! Urrà!”
Q. Quadrato.
È pomeriggio sul campo di Waterloo e i prussiani sono dietro l’angolo, pronti a intervenire in aiuto delle forze di Wellington.
Napoleone sa che il tempo stringe, crede ancora di poter vincere prima dell’arrivo di Blücher. Ordina al maresciallo Ney un massiccio attacco di cavalleria pesante verso il crinale tenuto dal nemico, tra Hougoumont e La Haye Sainte.
Sono le quattro del pomeriggio e migliaia di cavalieri partono per la salvezza della Francia.
Uomini dal metro e ottanta in su montano destrieri giganteschi da guerra, gli elmi e le corazze d’acciaio riflettono i raggi del sole, le armature dorate e le spade scintillano: sono le truppe più belle del mondo, i migliori di Francia che sfilano per l’ultima volta.
Corazzieri ma poi anche i lanceri, i cacciatori, i Carabiniers-à-Cheval si arrampicano a fatica sulla cresta, sfidando il terreno fangoso e i cannoni di re Giorgio, conquistano la vetta ma il nemico non è fuggito, i cannoni abbandonati sembrano essere in realtà solo un’esca.
È una pessima situazione per i cavalieri dell’Imperatore.
Lassù, c’è un’enorme schacchiera di fanti. Sono una ventina di battaglioni, ognuno composto da 500 uomini circa, tutti disposti a quadrato, per formare un reticolato di quadrati. La tomba di ogni carica di cavalleria; è quasi impossibile difatti espugnare quegli istrici dagli aculei velenosi.
Ogni lato del quadrato è forte di una prima fila composta da 30 uomini inginocchiati con i fucili dalle baionette spianate.
Nel secondo rango altri 30 sono disposti con altrettante baionette ben puntate.
La terza fila chiude la formazione con 60 uomini che sparano come ossessi.
Dentro: feriti, artiglieri momentaneamente ritirati, ufficiali e sottoufficiali strillanti ordini, la bandiera. È una trappola mortale per Ney quel labirinto di lame e spari.
Ciononostante i francesi non fanno dietrofront, ma si gettano contro le fortezze umane, cadono sulle baionette, i moschetti segano le gambe dei cavalli e forano i pettorali decorati, le cariche seguenti s’inciampano su quelle precedenti già falciate, le compagnie al galoppo superano i primi quadrati, i secondi, ma eccone altri, uno vicino all’altro, rimangono invischiati e circondati, non c’è via di scampo per gli attaccanti.
Una strage.
R. Rumore.
Il vento dell’ovest soffia sulla carneficina, porta con sè il baccano dell’artiglieria e il crepitio ininterrotto delle fucilate, assomiglia al rumore di legna secca gettata nel fuoco.
Uno scozzese in kilt e colbacco di pelle d’orso suona solitario su una collinetta la sua cornamusa. Note nella bufera.
Migliaia di zoccoli di cavalli calpestano la terra, è un suono in crescendo di tonfi sordi che sale in intensità, si avvicinano dragoni, corazzieri, lanceri, ulani, ussari. La cavalleria pesante francese si scontra al galoppo con la cavalleria pesante britannica al galoppo: schianto di destrieri, corazze, lame!
Un ufficiale si ricorda di quel particolare baccano, come se ci fosse un esercito di stagnini all’opera. E quando le pallottole di moschetto colpiscono le armature dei cavalieri sembra di stare a sentire una violenta grandinata su una lastra di vetro, e al di sopra di tutto, la grancassa dei cannoni.
S. Sfondatore.
Attorno al castello di Hougoumont avviene una battaglia nella battaglia.
È Girolamo Bonaparte – il fratello scapestrato di cui già si è detto – ad attaccare per primo con la sua divisione, per conquistare quel pugno di edifici nella campagna belga.
S’intestardisce su quell’obiettivo secondario, trasgredisce gli ordini per mettersi in bella luce con l’Imperatore, ma i britannici, comandati dal tenace colonnello James Macdonnell, non mollano l’osso.
Lo scontro s’incancrenisce, uno dietro l’altro vengono gettati nella lotta affollata reggimenti freschi; per tutto il giorno si susseguono feroci combattimenti nel frutteto ingombro di brandelli di soldati, lungo i muri assaliti con le scale, davanti ai portoni d’accesso, dove gli uomini cadono a mucchi, in ore cruentissime.
I testimoni di quel caos, ricordano il cielo diventato oceano infuocato, gli edifici consumati dalle fiamme del complesso fatto ora fortezza, il suolo che vibra come se calpestato da titani e larghe voragini che corrono e squarciano la terra: è la fine del mondo.
I francesi s’impuntano e Wellington intuisce astuto che la schermaglia di Hougoumont può far la differenza a Waterloo: il castello risucchia truppe nemiche in un vortice carnivoro di attacchi sfortunati logorando le energie della cocciuta Grande Armée. Quello che doveva essere un duello marginale, diventa episodio chiave.
I fanti di Napoleone marciano con le baionette innestate verso le mura di Hougoumont, per morire. Non se ne viene fuori, è un disastro che peggiora di ora in ora. Occorre un colpo di mano, un’azione kamikaze.
“Fate largo allo Sfondatore!”
Dalle compagnie in attesa del proprio turno di sangue, si fa largo un gigante. Impugna truce una grande ascia.
È il sottotenente Legros, celebre per la sua forza bestiale, soprannominato infatti l’Enfonceur – lo Sfondatore.
Il colosso guida un manipolo di 40 assaltatori pronti a tutto.
Si buttano indemoniati contro il portone nord, non sbarrato e poco presidiato perché sul lato all’opposto degli scontri, cioè più vicino alla cresta tenuta dagli anglo-olandesi e pertanto usato per i rifornimenti essenziali ai difensori del castello.
Lo Sfondatore sfonda con la scure battenti e crani, il pugno di belve è dentro Hougoumont, diavoli brutali fanno macello in cortile! Con loro un giovane tamburino, che scandisce il ritmo dello scannatoio.
Ma la disperata avventura, atto di folle e sanguinario eroismo, è destinata a fallire. In una gara di audacia noncurante della vita propria ed altrui, il colonnello Macdonnell coi suoi riesce a chiudere e sprangare il portone, respingendo a fucilate in faccia e colpi di sciabola i francesi che tentano di lasciare aperto il varco.
Sembra un tiro alla funa d’immane violenza, muscoli tesi a tenere aperte le porte contro altre braccia che spingono a chiuderle, mentre le lame incidono e i moschetti bucano.
Ma vincono i britannici, ed ora che la breccia è sigillata, i mastini di Macdonnell, ansimanti e imbrattati di sangue, si voltano verso gli imbucati rimasti isolati e pensano a loro.
Li fanno a pezzi nel cortile di Hougoumont, uno dopo l’altro.
Legros, il primo ad esser entrato, è l’ultimo a cadere.
Ferito tante volte, continua a lottare fino dentro la cappella del complesso, dove tenta di barricarsi senza possibilità di scampo e viene stanato a fucilate.
Il gigante crolla al suolo.
Federico Mosso
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(Fonte: Bernard Cornwell, “Waterloo”)