I casi di cronaca nera rarissimamente sono di nostra competenza, poiché ben poco c’è da aggiungere ad eventi in cui l’essere umano dà ulteriore conferma dei propri insondabili abissi.
Ma lo spunto è utile per parlare del modo in cui viene trattata la questione.
Ora: ci può stare, anche se deontologicamente e giuridicamente dovrebbe andare in modo diverso, che le grandi testate sparacchino nome, cognome, età, foto eccetera dell’assassino – chiamandolo appunto “assassino”.
Non va bene, non è giusto, ma di fronte a una prova di tale impatto emotivo come la corrispondenza del DNA (per gli amanti delle definizioni: una prova critico-indiziaria di ambito tecnico-scientifico. Ossia il tipo di prova più affidabile che può essere presentata in un’aula di giustizia penale) uno può comprendere la foga giornalistica.
Quello che non esiste, non deve esistere, non ha senso che esista è un Ministro dell’Interno (…) che per bullarsi dell’operato di dipendenti del suo ministero adotti toni da prefica analfabeta.
“Abbiamo preso l’assassino“, gongola Angelino Alfano in conferenza stampa. A poco servirà che, oggi, il Procuratore di Bergamo Francesco Dettori ricordi la presunzione d’innocenza, valida per qualunque indagato fino – almeno! – alla sentenza di primo grado.
Del resto, l’errore è nostro: è un errore di cui ci macchiamo tutti, ogni istante che lasciamo passare senza pretendere che Angelino Alfano sia accompagnato in ogni suo passo da una persona adibita a fargli da – come dire? – stampella della parola.
Costui, ogni volta che Alfano apre bocca, dovrebbe urlare a squarciagola una semplice, singola parola: SHALABAYEVA!
In modo da ricordare, noi tutti, che lo stesso Ministro (ringalluzzito dall’operato di gente che sostanzialmente non controlla, talmente è lunga la catena di comando) si era adoperato in un fantasmagorico scaricabarile (“Non c’ero, non sapevo, e se c’ero dormivo“) quando altri uomini, sicuramente più in contatto con lui della Procura di Bergamo, avevano violato qualche manciata di norme di diritto internazionale.
Umberto Mangiardi
@UMangiardi