
Fortunati quelli che sono ritratti, perché verranno salvati. È il gennaio del 2005 e tutto il pianeta ha imparato una nuova parola: tsunami. Pochi giorni prima un catastrofico maremoto ha provocato oltre 200.000 vittime nel sud-est asiatico, accartocciando le vite di quella parte di mondo.
Gente nemmeno povera; misera: le fotografie dei resort bombardati da onde implacabili si accompagnano alle lande devastate dove prima sorgevano infinite baraccopoli. Qui, di spazio per sognare, poco.
Fango e rottami fanno da sfondo ad espressioni smarrite di superstiti nativi. Una di queste ce l’ha sulla faccia Martunis, piccolo bimbo che per colpa del mare ha perso tutto: la famiglia e quelle quattro carabattole che utilizzava il suo clan.
Dopo 21 giorni di vagabondaggio Martunis viene trovato, messo al sicuro e fotografato: ha indosso una maglietta del Portogallo, ovviamente falsa, e il nome di Rui Costa stampato sul retro è ormai liso dopo tre settimane di acqua e sole beffardo. Tanto gli basta, però, per essere preso a cuore dalla Federazione calcistica portoghese, e tra una dichiarazione d’amore per Cristiano Ronaldo e l’altra il futuro del bambino cambia: addirittura il fuoriclasse di Madeira decide di contribuire alla ricostruzione della casa del piccolo, e la Seleçao Portuguesa coordina i sostegni.
È di questi giorni la notizia che il pupo è cresciuto, e finirà nelle giovanili dello Sporting Lisbona.
Cambiamo protagonista e latitudine: pochi giorni fa i fotografi sguinzagliati per la penisola ellenica catturano l’ennesima foto-simbolo. È Giorgos Chatzifotiadis, 77 anni, pensionato di Salonicco.
Giorgios ha appena ricevuto da un terminale elettronico (volgarmente detto “bancomat”) una notizia: è rovinato. Niente soldi, niente pensione, niente di niente. Pantaloni grigio scuro, calzini, sandalo, camiciotto, Giorgios fa quello che verosimilmente farebbe chiunque di noi nei suoi panni: si accascia e si dispera.
Bisognosi come siamo di istantanee evocative, Giorgios finisce in men che non si dica (e suo malgrado) su tutte le prime pagine del mondo: la foto è tecnicamente perfetta, racconta da sola la notizia, e così la pensano anche in Australia. Qui l’immagine viene pubblicata più o meno ovunque, per finire nelle mani di James Koufos, che ANSA definisce “ricco uomo d’affari” e nel giro di tre-quattro titoli di giornale diversi (ricordate il telefono senza fili?) diventa “miliardario”.
In ogni caso, il buon James Koufos è abbastanza danaroso per intervenire: è di origine greca, e quel Giorgos Chatzifotiadis lo conosce, è un compagno di suo padre e tanto basta a James per mettere mano al portafogli: la pensione di Giorgios la pagherà lui, per un anno almeno e comunque finché ce ne sarà bisogno.
Di nuovo cambio di scena di nuovo sud-est asiatico: Filippine, sera qualunque, studentessa universitaria in cerca di foto ricche di significato. A fornire l’occasione è Daniel, ragazzino di una decina mal contata d’anni, intento a studiare alla luce di un lampione. Commozione, entusiasmo, probabilmente senso di colpa e parole a caso (“Mi ha ispirata”) accompagnano la comparsa dell’immagine al cospetto… della società dell’immagine: scattano gli editoriali (tu quoque, Gramella: eri quotato come il caldo ad agosto. A Lipari), scatta il moto d’entusiasmo, scattano le raccolte fondi.
Qualche giorno dopo, gli spettatori della vicenda apprenderanno che la colletta è andata a buon fine e che il piccolo Daniel ora studia in una scuola vera, con una t-shirt bianca al posto dei lacrimevoli cenci. Buon per lui.
Mettere rapidamente in fila queste tre storielle può indurre ad uno sberluccicante ottimismo o ad un cinico realismo: ad esempio, può far pensare che sì, il mondo fa schifo, ma non sopporta di scoprirlo.
Non sopporta, per la precisione, di trovarsi di fronte alle ingiustizie quotidiane: nel momento in cui una foto ci ricorda che gli ultimi saranno gli ultimi, e difficilmente per un diseredato dell’Indonesia, un vecchio greco o un Oliver Twist delle Filippine ci sarà una seconda occasione – o più semplicemente un’occasione – scattano le mobilitazioni. Non prima, non a prescindere, ma solo dopo e solo in conseguenza.
L’emotività isterica, compagna di danze degli anni di Facebook, reagisce con moti di solidarietà e commozione, e in qualche caso interviene concretamente.
Nulla di male, intendiamoci. Ma meglio non chiedersi perché la nostra voglia di solidarietà intervenga ormai solo in condizioni di pathos, solo davanti ad immagini pulp, solo nei casi limite, mentre tutto il resto prosegue nella totale indifferenza.
E meglio non farsi domande più generali e astratte sul senso della vita, visto che Daniel, Giorgios e Martunis sono stati salvati, in fondo, dallo scatto di una ultracompatta.
Umberto Mangiardi
@UMangiardi