7 punti per capire (e criticare) Star Wars VII: una recensione COMPLETA

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Sto digerendo Star Wars VII, e soprattutto il successivo Big Mac ingollato in virtù della promozione tra il cinema e il vicinissimo fast food convenzionato. So di essere stato vittima di una macchinazione commerciale in entrambi i casi, e la cosa non mi infastidisce.
Se siete giunti fin qui PRIMA di recarvi al cinema, avete bisogno di rassicurazione; se siete giunti fin qui DOPO averlo visto al cinema avete bisogno, filosoficamente parlando, di consolazione.

Rassicurandi, a me! Se state cercando un imponente revival, non rimarrete delusi. I personaggi che amate e di cui avete puppazzetti e gadget ci sono tutti, e il film è molto più della più costosa Operazione Nostalgia di tutti i tempi.
Il parallelismo in questi casi va a Indiana Jones e il teschio di cristallo (perché è anni ’80, perché è scanzonato, perché è figlio di Spielberg e dunque della New Hollywood e dunque cugino di coscia di Guerre Stellari, per le musiche di John Williams, per Harrison Ford): bene, Episodio VII è un’altra cosa.
Sollievo.

Da qui a dire, però, che uno esce dal cinema pigliando a schiaffi il primo Sith che gli capita a tiro, ce ne passa TANTO.
Ripeto: non “ce ne passa” e basta; ce ne passa “tanto”.
E per capire questa non poi così sottile differenziazione, è necessario eviscerare i 135 minuti di Episodio VII più tutto il contorno.
Ma siccome nessuno – anche se ha fregato la donna al migliore amico; anche se ha ucciso la nonna per cuccarsi l’eredità; anche se ha venduto la sorellina a un circo in cambio di un cesto di nespole – merita di farsi anticipare qualsivoglia dettaglio del film dell’anno (ma più probabilmente del decennio), vi avverto: sappiate che da qui in avanti questo articolo è ricolmo di SPOILER.

COME QUESTO

E PURE QUESTO

E ANCHE QUEST’ALTRO.

Se siete arrivati qui, non potete averlo fatto per caso. E se, pur non avendo ancora visto il film, siete giunti fin qui, siete irrimediabilmente stupidi o terribilmente autolesionisti: due categorie di cui non ci si può curare in eterno.
Questo INTERMINABILE papiro è organizzato in 7 sottocapitoli (giuro, numerazione involontaria). Buona lettura.

    1. IL BATTAGE
    2. COSA FUNZIONA
    3. COSA NON FUNZIONA
    4. COSA NON FUNZIONA PROPRIO PER NIENTE: I TRE BUCHI DI TRAMA
    5. L’EQUIVOCO DI BASE CHE CI HA FATTO INCAZZARE
    6. LA RASSEGNAZIONE
    7. STAR WARS, LEIBNIZ E L’AMORE (PER QUELLO CHE SIAMO STATI)

Dunque: io sono entrato in sala sapendo che MORIVA QUALCUNO, e senza sapere CHI FOSSE questo qualcuno. Mercoledì 16 stavo ascoltando un innocuo programma sportivo alla radio, quando uno degli ospiti ha avuto la bella pensata di dire “Eh, alla fine morirà qualcuno di importante“. Ricordo di aver distintamente pensato “Tipo tua madre“. (Ma me ne sono immediatamente pentito. Lunga vita, signora!).
A due ore dai titoli di coda, ho deciso che la dipartita di Han Solo era il male intermedio, tra un’innocua decapitazione di Leila (tra l’altro: perché “Leia”???) che aveva il rischio di passare del tutto indifferente in sala e la per me insostenibile morte di Chewbacca.
Oltretutto Harrison Ford inizia ad averne oltre 70, e il rischio che a farlo uscire di scena fosse per davvero il Tristo Mietitore e non una più dignitosa spada laser è alto; e in effetti, dentro il costume da Wookie puoi infilare qualunque essere umano superiore all’uno e novanta.

1 – IL BATTAGE

Partiamo dal prima: prima che un tipo qualunque – io – potesse comperare i biglietti. Mi sono trovato:

  • la Fiat che utilizza Star Wars per pubblicizzare le Panda e le Alfa (che poi, per pubblicizzare le Alfa basterebbe… parlare di Alfa! C’è gente che di motori non ne capisce niente – io – che ha ancora in mente la 155 Gran Turismo del 1995 che guidava Larini. E io NON SO chi è Larini, è sedimentato nel mio subconscio e basta!);
  • La Tim e i suoi bimbi di merda (coordinati da Pif, che nel suo film è quasi riuscito a farmi tifare la mafia);
  • le arance griffate Star Wars (per un Carnevale di Ivrea da raccontare ai nipoti);
  • una nota marca di pc si inventa uno sfigato-ma-non-troppo che costruisce un R2-D2 per invitare una tipa a uscire: la fantascienza in tutto questo risiede nel fatto che lei acconsente;
  • le infografiche del governo (LE-INFOGRAFICHE-DEL-GO-VER-NO);
  • robe simili che non ho voluto guardare.

Il battage è stato insostenibile: la creazione di un evento è diventata negli ultimi anni la cifra stilistica ed economica di un prodotto.
Gli anni tra i ’10 e i ’20 sono dominati da questa vera ossessione per la costruzione del concetto-evento, e non sempre il pubblico è pronto: i “già fidelizzati” maltollerano l’overdose di prodotto e la profanazione del brand cui sono affezionati; i totalmente disinteressati incancreniscono una latente avversione.
Il martellamento, tuttavia, ha avuto una strepitosa efficacia al botteghino, dove da anni (forse da Avatar?) non si vedeva una corsa al biglietto non dico simile, ma anche solo lontanamente paragonabile. Il risultato è stato far convergere nella stessa sala:

  • i talebani (tra cui io mi annovero: talmente talebano che amo perfino i primi tre episodi, e non è una sottigliezza: è un’ortodossia cubica, tautologica, autoponente, schizoide);
  • gli “occasionali” tramortiti dalla creazione-dell-evento di cui sopra;
  • gli sbarbatelli che poco sanno di tutto il “pre” e che temo saranno ROVINATI da questo film, che confeziona per loro una realtà esauriente priva di qualunque motivazione ad andarsi a riguardare, nei prossimi anni, il vero e indiscutibile mito, e cioè i film di 35 anni fa.

Ma questi sono dettagli: ora andiamo al sodo.

2 – COSA FUNZIONA

Dalla più riuscita alla meno riuscita (tra parentesi, il grado di difficoltà da 1 a 5):

  • L’epica delle battaglie e degli inseguimenti (4)
  • Le allusioni (1)
  • Il nuovo droide-feticcio BB-8 (5)
  • La scorrevolezza del film (4)
  • La trasversalità del film (5)
  • L’umanità di Kylo Ren (4)
  • L’assolutezza del Leader Supremo Snoke (2)
  • Il riciclo del vecchio (2)
  • Il personaggio di Finn, finché si converte (3)

“Se Lucas avesse avuto la computergrafica”: è una di quelle che domande della Storia dell’Uomo, accanto a “Se Hitler avesse avuto l’atomica” e “Se Gesù Cristo avesse avuto il telefono”.
Di sicuro c’è che J.J. Abrams ha attinto a piene mani dal suo bagaglio di esperienze “spaziali” e ha fatto il suo per quel che riguarda inseguimenti, piroette, cannoni laser da tutte le parti, capriole, manovre spericolate nello spazio e in volo radente.
Le soggettive dai caccia in battaglia sono galvanizzanti, la battaglia tra Poe e i Tie Fighter in azione serrata è una botta di adrenalina, l’arrivo degli Ala-X sull’acqua del pianeta Takodana è una roba che dovrebbe diventare l’Apocalipse Now del XXI secolo e c’era gente che in quel momento si dava all’amore libero in sala (ok, sto esagerando, ma provate a dire che questo qui non è un fotogramma CLAMOROSO).

Non era impossibile, bastava sparare altissimo. Ma da lì a centrare il piccolissimo bersaglio costituito da ogni singolo cuore dei fan più esigenti (ma anche dei bimbiminkia più illetterati e digiuni della trilogia), beh, era ben ben complicato.
E dunque, non era impossibile, ma difficilissimo pareggiare le attese: una vera e propria sfida tra titani, da una parte le aspettative gargantuesche di tutti, dall’altra la créme de la créme degli smanettoni di Hollywood.
Tre a zero per loro, senza appello.

E quanta bellezza, quanto romanzo, quanta nostalgia, quanta decadenza struggente quelle fregate imperiali corrose e sommerse dalle sabbie insaziabili. Perfino lo sgraziatissimo At-At che funge da casa di Rey, coricato sul fianco come un pachiderma morente, è poetico e carico di significati: queste allusioni alla gloria che fu sono delle zollette di zucchero lanciate a noi che bla bla bla.

Proseguiamo: altra cosa per nulla facile era sostituire R2-D2 (o C1-P8, che dir si voglia) con un droide-macchietta più adeguato ai tempi e soprattutto ai ritmi. Sembra una sciocchezza, ma R2 è lento: nel senso che proprio cammina piano.
Andava bene in ambienti semichiusi come il Falcon, per fughe notturne non inquadrate su Tatooine, ancora ancora per passeggiate nella Reggia di Caserta. Ma non per i ritmi di un film del 2015, e dunque andava rimpiazzato almeno a livello narrativo.
E se c’è una cosa che dalle parti di Burbank sanno fare come nessun altro al mondo sono le bestioline carine e coccolose: ci hanno creato un impero, con le bestioline carine e coccolose. Sarebbe come chiedere ai tedeschi di fare carri armati.

BB-8 è uno dei capolavori del film, e al pari dei pinguini di Madagascar, di Stich e del Gufo Anacleto ce lo porteremo dietro fino alla tomba. Nell’Anno del Signore 2015, i Walt Disney Studios tirano fuori dal cilindro un nuovo droide che squittisce, mugola, fischietta, ammicca ed è espressivo come pochi altri personaggi di latta.
Insomma: il cugino di Wall-e dal design semplice ed essenziale manda in pensione a calci C1-P8.
E per uno che è sprovvisto di gambe, non è proprio poco.

Luoghi, azione, allusioni e una nuova macchietta sono gli ingredienti principali di un cocktail complicatissimo che aveva due compiti non da ridere: piacere a tutti e andare giù liscio. Mescolando usato sicuro (ci torneremo) e affossando un paio di linee narrative il risultato può dirsi raggiunto, perché tecnicamente parlando Episodio VII è un bel film: non annoia praticamente mai, annulla (fino all’eccesso) i tempi morti a costo di rinunciare all’introspezione e all’evocazione.
Ci sono tante botte, tanti mostri, tanti duelli, tante decisioni rapide (a volte troppo).
Nessuno – che non sia un talebano della peggior specie – può uscire completamente deluso, frustrato o arrabbiato con il lavoro di J. J. Abrams: non i vecchi fan, soprattutto non i nuovi.
Commercialmente, il massimo possibile raggiungibile.
Le magagne stanno altrove: non tanto sul come è stato fatto il film, ma su come è stato pensato e soprattutto come è stato capito da J. J. Abrams, Lawrence Kasdan e Michael Arndt, che hanno deciso di riproporlo così oggi (è il piatto forte di questa riflessione, e arriva tra un po’).

Ci rimangono da dire un paio di cose sui cattivi, sul buono e sui vecchi: i cattivi stanno in piedi, ed era un rischio bello grosso anche questo.
Ci si arriva tramite due espedienti, uno di sceneggiatura e uno di pura tecnica registica: l’aspetto di sceneggiatura è rappresentare un cattivo “in divenire”, molto meno motivato di un Anakin Skywalker – il cui processo di (doppia) conversione complicato e fluido come il meccanismo di un raffinato Patek Philippe è stato approfondito per addirittura sei lungometraggi – ma altrettanto lacerante e lacerato, con picchi di umanità isterica se volete superficiali ma innegabilmente ordinari e normalizzanti in un universo fantastico che da qualche parte deve trovare uno sfogo verso canoni abituali.
Kylo Ren, al di là del nome da barretta dietetica, ha un suo perché che non viene squalificato nemmeno dal terrificante monologo cui dedicheremo tutta la nostra riprovazione tra qualche riga.
Ed è dominato da un Leader Supremo sovrastante anche visivamente (bravo J. J.!), con un ologramma che ci dice tutto sulla sostanza del rapporto e niente sulla fisicità del Deus Ex Machina delle forze del male.
Il Leader Supremo Snoke è un cattivo tosto, impalpabile, etereo, difficilissimo da contrastare e in effetti nemmanco individuato dalla marmaglia dei buoni.

Già, i buoni: il riciclo del vecchio funziona alla grande – nonostante un Harrison Ford che alcuni descrivono come immenso e che a me è sembrato più impagliato che altro, e nonostante una Carrie Fischer che è invecchiata maluccio e non ha guadagnato nulla in carisma dalla sciacquetta che si faceva bastare gli occhioni di John Belushi prima di essere scaricata nel fango.
Ritrovarsi di fronte Han, Leila, Chewie, D3-BO e R2-D2 è esaltante, almeno quanto è esaltante l’inquadratura che scappa sulla vecchia ferraglia che altro non è che il Millenium Falcon: quanto ci siamo entusiasmati a quella ripresa? Nella mia sala è partito l’applauso!
E sono pronto a giurare che la “partita a mostri” del gioco da tavolo del Millenium Falcon è ferma a dove la avevano lasciata Chewbacca e D3-BO in Episodio IV. Come diceva Pasolini, “Io so ma non ho le prove”.

Il nuovo è interessante, almeno dal punto di vista umano. Il personaggio di Han Solo sarà ereditato dal pilota Poe Dameron, sufficientemente sfrontato e yankee da fare suo quel ruolo (e contendere a Finn l’amore della bella Rey, volete scommettere?), e proprio Finn è tratteggiato piuttosto bene nel suo dramma esistenziale: non abbastanza motivato alla brutalità e perfetto per passare al Lato Chiaro della Forza.
Ma per Dio, non profanate mai più una spada laser dandola in mano a uno che la usa come Nonna Papera userebbe il mattarello. Ne va della nostra mitologia.

3 – COSA NON FUNZIONA        

Dalla più trascurabile alla più macroscopica (tra parentesi, il grado di fastidio da 1 a 5):

  • La credibilità dei personaggi, per Finn da quando inizia a combattere in poi (2)
  • La totale assenza di conoscenza della Storia nei personaggi (2)
  • La locandiera occhialuta Lupita Nyong’o (2)
  • Una spada laser di Luke, per caso (3)
  • Il sogno nella cantina (3)
  • Il generale Hux (5)
  • La ricerca ossessiva della gag (4)
  • La casualità della trama (4)
  • La persistente sensazione di già visto. In OGNI cosa (4)
  • La musica (5)
  • I dialoghi totalmente superficiali (5)
  • NONNO (47: fuori scala)

Proprio la spada laser in mano a Finn (a proposito: l’unico personaggio nero è stato “strappato da piccolo alla famiglia”; l’unico personaggio vecchio che manca all’appello è Lando Carlissian: vuoi vedere che…) inaugura quello che tutti volete leggere, e cioè le righe di odio puro e totale.
Dare il più sacro degli oggetti, virtù della regina Amidala inclusa, in mano al primo che passa è stata fonte del primo mugugno convinto di tutto il cinema.
Non è accettabile che un pivello maneggi la spada laser (e che spada laser!), non è accettabile che non solo non si mutili ma che la usi anche solo decentemente, e non è accettabile che resista per un po’ a Kylo Ren (per non parlare di quella brutta cosa che esce dal braccio dello Startrooper e che – onta e disonore – non viene devastato dalla spada laser! Una armatura comune che resiste a una spada laser? Ma dove siamo finiti?).

A proposito di duelli: arriviamo alla carissima Rey. Bellissima, simpatica, energica, talentuosa, determinata, priva di quell’aria da “Non posso dirtelo ma mi fai un po’ schifo” che trapela anche dalle più caramellose occhiate di Natalie Portman.
Probabilmente imparentata con Luke (e qui però diventa Beautiful: va bene la saga familiare, ma qui si esagera), salvo colpi di scena ancora più fastidiosi di questa eventualità, Rey è uno dei più grandi problemi del film.
A Rey a un certo punto partono gli ormoni e acquista dimestichezza con la Forza al pari di un Jedi consumato da anni di padawanaggio e Martini al Tempio di Coruscant. Ma che razza di storia è? Per non parlare del duello!

Seguitemi nel ragionamento: passiamo tre film (e i primi anni 2000) a sentir dire al più grande turbofigo della storia della galassia, il caro Anakin, che deve applicarsi, sacrificarsi, impegnarsi, concentrarsi, esercitarsi e farsi in definitiva un paiolo così per poter solo guardare in faccia gente come Yoda.
E sempre lui, il turbofigo di tutti i tempi, proprio perché giovane e inesperto si fa prima segare un braccio dal Conte Dooku e poi tutte e due le gambe da Obi Wan Kenobi.
Questa, invece, la seconda volta che tocca una spada laser “pareggia” col vicefigo del suo tempo.
Non regge.

J. J. Abrams non ha la “scusa” del prequel, in cui non si poteva pretendere che IV, V e VI fossero coordinati con I, II e III (al massimo, il contrario): qui la saga è fatta, le regole sono stabilite e sono immutabili, e Rey le infrange tutte di colpo.
Qualcuno ha provato a scrivere che “Il primo maestro di Rey è proprio Kylo Ren, ed è un buon maestro perché la pischella impara“, ma è una fesseria: va contro TUTTO quello che è stato il processo maestro-discepolo che ci hanno raccontato per 35 anni.
Errore da matita (anzi, da spada laser) blu.

Altra magagna: io non so come funzionavano i libri di storia tanto tanto tempo fa in una galassia lontana lontana, ma 30 anni sono un periodo di tempo TROPPO BREVE perché tutto sia passato in cavalleria e le imprese di Luke e Han siano solo contornate dal mito, al punto che non si sappia se sono leggenda o realtà.
Hanno fatto saltare due stazioni spaziali grosse come due lune, ucciso due tiranni e portato a termine un colpo di Stato: non ha senso che Rey non abbia mai sentito nulla di preciso in tema, a meno che non abbia ENORMI deficit di attenzione.

Una sequenza di scene molto traballante è poi il rendez-vous su Takodana: a parte che la locandiera occhialuta Lupita Nyong’o è una lumaca gialla dimenticata lì dal casting di Monsters & Co.; a parte che secondo me vorrebbe essere una “Yoda 2 La Vendetta” e per carità stendiamo un velo pietoso; ma davvero mi volete dire che la spada laser di Luke e prima ancora di Anakin (che ricordo essere volata via assieme al braccio di Luke nella Città delle Nuvole, su Bespin, e verosimilmente persa) è in un pertugio dimenticato da Dio e dalla Forza senza che nessuno si degni di spiegarmi SUBITO come ci è arrivata?
E soprattutto: non c’era niente di meglio che la visione onirica – una specie di trip di quelli pesanti – per raccontarci (e raccontare alla protagonista stessa) smozzichi del passato di Rey?

Un’ultima cosa sui personaggi: il generale Hux, quello che comanda la Starkiller. Quello che ha due compiti in tutto il film e in entrambe le occasioni nessuno lo considera. Quello che fa il discorso davanti alle truppe schierate più moscio e inutile che la cinematografia ricordi (da apprezzare, invece, la geometria e i colori del piazzale – di stampo nazifascista – e le truppe che salutano a pugno sinistro chiuso: cerchiobottismo disneyano allo stato puro).
Il punto è che la strepitosa, intrinseca verosimiglianza di Star Wars risiede nella credibilità di ogni singola battuta (sì, anche in Episodio I), talmente raffinata da lasciar intendere un mondo realistico, consequenziale e orchestrato dietro ogni azione.
Ogni singola persona, oggetto o avvenimento ha una storia – che non ti verrà detta, ma che è presente per chi vuole scoprirla, anche senza diventare dei noiosoni da Universo Espanso: basta guardare le navi che attaccano la Morte Nera in Episodio VI, ne conti almeno venti tipi diversi a simboleggiare plasticamente in sincretismo culturale e tecnologico che incarna la ribellione.
Ogni personaggio è vivo. Dal guardiano del Rancor che piange perché hanno ucciso la sua bestiola al pilota amico di Luke incontrato prima della battaglia di Yavin, c’è un universo da esplorare, e chi l’ha fatto ne è tornato con lo zaino pieno.

Non capita lo stesso con Episodio VII, che al confronto è il trionfo della superficialità. Gente che vive nelle tende nel deserto? E perché mai dovrebbe? Tatooine aveva bar, scuole, spazioporti… Nessun umano vivrebbe stanziale in quel posto per il puro gusto di saccheggiare un relitto di uno Star Destroyer in cambio di razioni liofilizzate.
Nelle battaglie il caccia Ala X – tanto amato dai fan – diventa l’unico caccia della ribellione: i Naboo Fighter, gli Ala Y sono evidentemente stati rottamati. Perché mai? Hai davanti la battaglia della vita e mandi una manciata di caccia, senza peraltro navi-appoggio? Durante la battaglia di Yavin le motivazioni c’erano. Qui no.
In generale, nella vecchia trilogia le cose accadevano perché orchestrate o perché costretti: ti piomba una Morte Nera nel giardino di casa proprio quando hai i piani di questa, ma è PROPRIO PERCHÉ hai i piani che quella è arrivata.
C’è un nesso logico, una consequenzialità. Una interdipendenza che manca in tutto il film.

Il problema resta poi la persistente sensazione di già visto. In OGNI cosa:

  • Pianeti: Yakku è un Tatooine 2, Takodana è un Naboo 2, la Starkiller chettelodicoaffà.
  • L’attacco finale lo abbiamo già visto due volte.
  • Il countdown per la base ribelle che sarà incenerita in tre, due, uno…
  • Il santone Lor San Tekka è un Obi Wan vecchio senza essere Obi Wan.
  • Il pilota spaccone è uno Han Solo 2.
  • Lo scontro padre figlio al posto di quello figlio-padre. Originale.
  • Il robottino-mascotte.
  • La visione nella cantina identica alla visione di Luke nella grotta di Dagobah.
  • L’osteria spaziale è uguale al bar di Moss Esley: c’è pure una band analoga.
  • Potrei continuare.

Iniziano ad arrivare i problemi TOSTI. E cioè: cosa si voleva davvero fare di questo film?
Ho letto che doveva essere un biglietto da visita per i post-1990 e per la Cina, che Star Wars non l’ha mai visto; c’è Davide Mela che è un anno che ripete Guardate che ne faranno una serie, molto lunga e molto costosa, cadenzata con un unico mega-episodio ogni due-tre anni finché il botteghino dirà che ha un senso, come vuole la strategia-Disney“.
Io ho visto una vicenda (un plot) da “ha le potenzialità ma non si impegna, e copia dal banco del suo vicino George”. E questo è alto tradimento. Come è alto tradimento non sfruttare mai compiutamente la musica di John Williams: quella nuova è impalpabile, ma se questo tema

 

è stato talmente universale da diventare un momento topico perfino delle parodie (una su tutti, Blue Harvest), perché tagliarsi le balle così? E perché non sottolineare qualunque movimento del Primo Ordine con la più evocativa marcia dittatoriale di tutti i tempi?

La risposta è che questo film non ha tempo, e in realtà non ha tempi morti: non è quello che ci ha abituato essere Star Wars, ossia una gigantesca allegoria prolungata che in mezzo a spade laser, iperspazio, astronavi e tamarrate varie parla di quanto di più umano c’è, ossia i conflitti interiori.
Non c’è lo spazio per la malinconia di Luke che non sa che pesci pigliare davanti ai soli gemelli di Tatooine, non c’è lo spazio per l’affermazione pervasiva del potere dei Sith, non c’è tempo per essere… umani: è tutto un rincorrere e scappare, uno sparare e schivare, un “fate presto che ci fanno saltare in aria“.
Forse è troppo definirlo un “Metal Slug dello Spazio Profondo”, e forse è troppo facile il paragone con la Marvel (anche questa acquistata a suon di dollari sempre da Mamma Disney, che inizia ad assumere dimensioni inquietanti), ma abbiamo cambiato il genere: dall’epica cavalleresca in salsa fantascientifica alla fantascienza dura e pura, senza quella rottura di palle (…) del romanzo di formazione.
Ma se togli la marmellata di albicocche alla Sachertorte puoi aver fatto il miglior pan di Spagna del mondo ma quella che ti viene è una buonissima torta al cioccolato. Ecco, si incomincia a vedere il bandolo della matassa.

Un bandolo che si palesa a un primo impatto attraverso dialoghi e comportamenti TOTALMENTE superficiali, posticci, per nulla calzanti su personaggi evoluti e con QUEL GENERE di background: qualcuno ha scritto che vedere Leila correre ed abbracciare Rey dopo che Han Solo è morto, dimenticando in un angolo un personaggio come Chewbacca, con cui ella stessa ha rischiato le piume (e che ad Han le ha spesso salvate), è una roba che un fan di Star Wars non può accettare.
Va contro l’etica e contro l’epica (e già che ci siamo, pure contro l’etnica e il pathos).
J. J., ma per te Star Wars cos’era? Uno sparatutto spaziale con gente che di tanto in tanto diceva una frescaccia?
Anche qui: una gag va bene (quella tra Finn e BB-8, con il droide che tira fuori l’accendino: strepitosa); due le tolleriamo; tutte le altre no: che Han Solo, dopo anni che non vede Leila, non sappia far meglio di una battutina sull’acconciatura è un qualcosa che svilisce Han, Leila e il passato: ALTISSIMO tradimento!

Menzione d’onore, poi, per il monologo di Kylo Ren che a un certo punto usa la parola NONNO, riferito a Lord Fener: sarà anche tuo nonno, pezzo di asino, ma il nonno è quello che gioca a scopone e bestemmia facendo arrabbiare la nonna. Non esiste CULTURA in cui il nonno sia una figura che incute soggezione, timore e riverenza a livelli assoluti.
Io ho cercato gli sguardi complici di chi era in sala con me.
“Questa la possiamo salvare?”, ho chiesto con tono chioccio e speranzoso.
“NO!”.
Fine della discussione.

4 – COSA NON FUNZIONA PROPRIO PER NIENTE: I TRE BUCHI DI TRAMA

Nell’impianto generale di Episodio VII, infine, ci sono tre enormi buchi di trama: situazioni annunciate ma assolutamente non spiegate, e oltretutto illogiche.

  • Dove sono i padawan di Luke? Nella lenzuolata iniziale, si dice che Luke ha addestrato un tot di padawan per rifondare l’Ordine degli Jedi, e che in crisi esistenziale per aver creato l’ennesimo bimbomostro ha piantato lì tutti e tutto per andare a fare l’offeso in culo alla galassia.
    Va bene. Ci credo.
    DOVE SONO, questi padawan? Cosa stanno facendo mentre saltano sistemi solari come mortaretti a capodanno? Si stanno divertendo con giochi erotici a base di spade laser? Non è dato saperlo.
  • Dov’è la Repubblica (o quel che ne resta)? Perché i cloni sono TUTTI lealisti?
    Io ci posso credere che UNA PARTE dei cloni resti fedele alle strutture imperiali (a parte che no, non hanno autonomia: se chi li comanda ordina loro “da domani vi vestite da struzzi e sfilate al carnevale di Rio” loro lo fanno). Ma a questo punto le istituzioni sono state ristabilite, e la Repubblica in teoria è tornata a funzionare.
    Che posizione ha la Repubblica? Chi decide? Cosa decide? Dov’è il suo esercito? Perché tutto il discorso di democrazia e libertà continua a essere in mano a un manipolo di poveri cristi ribelli? E quindi…
  • … perché quelli che 30 anni fa hanno vinto continuano a essere una minoranza di sfigati? Mistero.

5 – L’EQUIVOCO DI BASE CHE CI HA FATTO INCAZZARE

L’equivoco non è solo il passaggio da “vicenda di formazione” a “sparatutto con richiami a una saga di successo”, ma il conseguente passaggio da “Saga cavalleresca fantascientifica” a “Supereroi contro la Municipale”: il completo abbandono della narrazione filosofica in favore di una narrazione (fanta)storica.
E su questo, qualcuno si è infuriato chiamando in causa poco simpaticamente le famiglie di J. J. e degli amministratori delegati Disney.

Perseveranza, dedizione, sacrificio, ideali: non sono solo i capisaldi degli Jedi, ma anche del Lato Oscuro. Lo dice benissimo Palpatine nell’Episodio III: Star Wars non è (solo) una questione di bene contro male, ma di individualismo totalizzante contro comunitarismo (per quanto elitario).
Pensateci: la dialettica dei Sith è maestro-discepolo; quella dei Jedi anche MA all’interno di una comunità monastica di condivisione. Di Sith ce ne sono sempre due, mentre fino all’Ordine 66 i Jedi sono organizzati in un sistema consiliare.
Sono due visioni filosofiche COMPLETE e ANTITETICHE dell’essere vivente: cui corrisponde una visione politica, una visione spirituale, una visione morale, una ragione pratica per attualizzare due (scusate, parolaccia) weltanschauung, due visioni del mondo.

All’interno di queste due visioni del mondo si assiste alla manipolazione in due direzioni opposte dello stesso elemento-vitale basico, ossia la Forza. Ma non è una manipolazione immediata e diretta: è invece una manipolazione mediata dall’addestramento, e indiretta – nel senso che il suo apprendimento è roba da farci film per sei edizioni a due botte di tre, in un percorso che implica scelte, contraddizioni, dubbi, fasi di stallo, impazienze, enormi frustrazioni.
E all’interno di queste visioni del mondo trova spazio una completa, esauriente e intrigante visione politica, in cui – se non ve ne foste accorti – Lucas bypassa di brutto le annose questioni di integrazione culturale, dandole per assodate, focalizzando l’attenzione né sulla libertà né sulla uguaglianza, ma sul concetto di ordine e su quello di giustizia (assoluta, essendo ispirata da principi assoluti).
In questo Lucas è molto anglosassone, e Abrams altrettanto risoluto: tutto ciò lo trascura.

Non è un caso se nel mondo c’è un certo qual numero di fulminati (nell’ordine delle decine di migliaia) che a Star Wars crede DAVVERO, prendendolo come opera PROFETICA di un teorema autenticamente religioso: perché della religione ripropone gli stilemi, con una accuratezza sicuramente superiore alle intenzioni dello stesso George Lucas ma in ogni caso credibile e addirittura condivisibile.
Un’architettura completa in cui è previsto un fine ed un posto nel mondo: un’idea di società cui si aggiungono una antropologia, un’ontologia e fin dal principio una escatologia.
No: Star Wars non è il più importante prodotto cinematografico di tutti i tempi solo per ragioni di merchandising.

Per questo è irritante vedere che una ragazzina tratta la Forza come la Torcia Umana tratta il suo accendersi/spegnersi: non è quella roba lì. Ed è per questo che Rey – salvo improvvise virate e salti mortali dialettici per intortarci su un improbabile ritorno sui binari – difficilmente sarà un’eroina, ma solo una protagonista (bellissima differenziazione che si fa anche in questo articolo).
Rey impara ad usare la Forza con tutti gli annessi e i connessi (manipolazione delle menti deboli, attrazione degli oggetti, vigore fisico, uso della spada laser) dopo un tentativo grottescamente fallito (“Mo me liberi” / “Mo te meno“: questo il dialogo tra lei e lo Startrooper) e alla prima occasione.
Ragazzi, avete sbagliato tutto!
Ripeto, non potete dimenticarvi dei sei film precedenti: per tutta la durata del (lentissimo) Episodio V c’è Luke che gioca a fare Tarzan nella foresta portandosi a spalle Yoda per temprare il fisico. Che quasi impazzisce per tirare su mezzo sasso.
L’Episodio I – è vero che fa schifo a molti (a me no) – ha una delle sue chiavi di volta in quel “È troppo grande per essere addestrato” detto ad un bambino di 9 anni. In Episodio VII una ventenne si improvvisa Jedi, e non solo ne viene fuori viva ma ferma anche “i cattivi”.

Cattivi che, mancando una teoria filosofica del Lato Chiaro, passano dall’essere dei degni antagonisti a… un Mignolo col Prof. extended version:
– “Cosa facciamo questa sera, Leader Supremo Snoke?”
– “Quello che facciamo tutte le sere, Kylo: cerchiamo di conquistare la galassia!”.

Perdonate la banalizzazione eccessiva, ma sono le estreme conseguenze della liofilizzazione del pensiero che c’era dietro all’opera: non più filosofia ma superpotere; non più ordine positivo contro ordine impositivo ma buoni contro cattivi; non più percorso ma azione.
Qual è l’unico atteggiamento da adottare di fronte a questa scelta?

6 – LA RASSEGNAZIONE

Sì, la rassegnazione: guardare i primi sei film è un qualcosa che ci impone di guardare il calendario e rassegnarci alla società che siamo diventati rispetto a quella cui era diretta la macchinazione teatrale ordita in pieni anni ’80 da Lucas (se non altro da questa parte di mondo).
Oggi non pare essere più commerciabile un prodotto che – per essere penetrato – richiede una visione di circa 15 ore di opera omnia; e tra la fatica di conservare un prodotto “pesante” e l’agio di tagliare via tutto per realizzare una “versione minimal di quel che fu” si è CONSAPEVOLMENTE scelta la seconda strada (mica penserete che le teste d’uovo di Disney siano tutte marce? Mica penserete sia un errore in buona fede?).

Hanno deliberatamente SCELTO che quella roba non sarebbe stata capita, né avrebbe avuto presa oggi: non so se per il fatto che sarebbe stata troppo complicata e incomprensibile (e dunque, siamo una società di idioti) o perché avrebbe richiesto uno sforzo insostenibile a livello di tempo e dedizione (e dunque siamo una società di menefreghisti).
Nessuna delle due, però, è un’ipotesi consolatoria, e tuttavia dopo 15 ore che ragiono sul tema “Star Wars in rapporto al mercato” non mi viene in mente niente di meglio: se qualcuno di voi lettori ha una lettura meno catastrofista, è benvenuto nei commenti.
Quindi: dobbiamo bruciare le sagome di J. J. Abrams e di Topolino in cortei di sdegno e protesta per le strade delle nostre città?

7 – STAR WARS, LEIBNIZ E L’AMORE (PER QUELLO CHE SIAMOSTATI)

Guardiamoci onestamente negli occhi: era possibile uno Star Wars Episodio VII diverso? Allargo ulteriormente: era possibile uno Star Wars come lo avremmo voluto noi, i mujahidin del Lato Chiaro?
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo confessare quello che avremmo voluto: innanzitutto un rispetto – è il caso di dire – religioso di quanto appena accennato poco più sopra, quasi una teogonia fatta e finita con la Forza come principio primo e la lotta generatrice di bene e male a generare la realtà sociale e fattuale: il meglio della filosofia greca mixato col meglio della filosofia orientale con una spruzzata di materialismo storico (senza la fondamentale componente economica, va detto).

Tutto qui? No. Volevamo una valanga di citazioni e di allusioni, e in un certo qual modo le abbiamo avute: volevamo che anche il più insignificante bullone fosse al suo posto, e nemmeno il Charlie Chaplin in formato droide più accattivante ci avrebbe convinto a fare a meno – da subito – dello spilungone dorato e al barattolo fischiettante biancoazzurro.
E poi: volevamo Leila e Han e Luke, e pure qui siamo stati accontentati.
Il problema è che queste caramelle dovevano bastarci, mentre la Disney badava sostanzialmente agli affari suoi: una pretesa legittima, per chi ha scucito 4 miliardi (MILIARDI) di dollari per accaparrarsi un prodotto e il diritto anche di sfasciarlo, se fosse necessario.
E poi ancora: volevamo idee nuove, trovate molto più sconvolgenti di una spada laser con l’elsa (che alla fine a qualcosa è servita) e pianeti in sostanza già visti.

In mezzo a queste soverchianti forze centrifughe, J. J. Abrams si è trovato a giocarsi molto più che la carriera: proprio il suo prestigio professionale; e non adesso, ma per sempre.
Credo convintamente che sia il caso di plagiare un poco Leibniz e il suo bersagliatissimo “Viviamo nel migliore dei mondi possibili”: nel suo caso come diretta conseguenza della perfezione divina, nel nostro – molto più modestamente – come risultato del contemperamento di esigenze commerciali (ma anche “banalmente” artistiche) radicalmente contrapposte.

Un film citazionistico e tradizionalmente innovatore avrebbe richiesto un Tarantino o giù di lì: capite da soli che un’ipotesi del genere sarebbe una classica soluzione peggiore del male (anche dimenticandosi del fatto che Quentin non è esattamente uno sbarbatello della new wave). J. J. Abrams ha fatto il massimo che poteva fare accontentando più palati possibili: resta da capire se la sua mission è stata esclusivamente aziendale o se (al suo interno) è riuscito a ritagliarsi una dimensione artistica.
Io credo di sì: la tecnica con cui maneggia non tanto la sceneggiatura quanto gli ambienti e le riprese è un linguaggio espressivo molto più dinamico, moderno e accattivante di tutto quello che avevamo visto prima.
Ovviamente, questo non basta a consolarci e nemmeno a farcene una ragione.

Per farcene una ragione, dobbiamo passare dall’assolutismo all’intimismo, smettendo di vivere l’affezione per il racconto e iniziando a pensare l’affezione per il racconto: perché abbiamo sviluppato un amore per un pezzo di cellulosa tale da farci guardare decine di volte sei film, rispettare code per prendere i biglietti nei primi giorni di proiezione, e parlarne, e leggere (e scrivere) mappazzoni come questo?
Per quello che siamo noi nei confronto di Star Wars: innanzitutto, per quello che Star Wars ha rappresentato per i nati tra il ’55 e il ’70, e cioè il prodotto più fico del cinema della loro generazione.
Un qualcosa che assieme allo sport e alla musica pop & rock hanno non solo pensato bene di passarci, ma hanno utilizzato per creare un legame culturale tra noi e loro.

Ho letto in questi giorni uno status su Facebook dolcemente reazionario: lo ha scritto una mia amica in risposta a chi le faceva le piste cercando di farla smettere di parlare di Star Wars.
Per tutta risposta, lei è andata al cuore del problema, spiegando perché non ne aveva la minima intenzione: perché per lei Star Wars voleva dire Natale, i Natale di quando era piccola e andava al cinema vedere Guerre Stellari con il suo papà; i momenti che condivideva con lui; le cose che si dicevano da soli; l’orgoglio che lei aveva percepito in lui quella volta che lui l’aveva trattata per la prima volta da “ragazza grande”, e non più da bambina, smettendo di prenderla per mano e mettendole un braccio intorno al collo al semaforo.
Per inciso, è la stessa dinamica che lega padri e figli quando si mettono a tifare per la stessa squadra di calcio, e il fanatismo di questi giorni per Guerre Stellari in effetti a me ha molto ricordato una fratellanza di tipo sportivo, se volete curvaiolo (nell’accezione più nobile, ovviamente).

Ma se la nostra affezione deriva da storie del genere, storie di condivisione, amicizia e amore, questa piccola astrazione dissociata può fornirci una miniera per superare qualsiasi tipo di schock, almeno riguardo questa piccola materia isolata: nessuno toccherà mai questo patrimonio inesauribile di nostre emozioni, né ci impedirà di viverle con chi deciderà di ascoltarci.
Pazienza se con i prossimi non ricreeremo il medesimo legame empatico: un mio caro amico, che gioca a fare il grossolano ma in realtà è profondissimo, ieri era furibondo per l’epilogo del film. Ha detto: “L’unica cosa buona di questa serata è che l’ho passata con mia sorella“. Per la cronaca, le vuole un bene sconfinato.
Ebbene: finché ci sarà voglia di mettere in comune un vissuto per mezzo di un film, Star Wars continuerà a recitare il suo ruolo; una straordinaria scusa per condividere qualcosa di nostro con le persone che più visceralmente amiamo.

Umberto Mangiardi
(hanno più o meno consapevolmente collaborato Virginia Chiabotti e Maurizio Migliore)

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BIBLIOGRAFIA (o qualcosa del genere)

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