7 cose che ho imparato andando alla Convention democratica americana

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Qualche superflua riflessione sparsa sulla Convention dei Democratici, dopo essermi fatto 6400 km sopra l’Atlantico e due ore di treno per arrivarci. Fatemi sfogare.

1 – Il Partito Democratico americano ha una struttura vera e si vede. Ci sono i comunicatori, i funzionari, chi organizza e gli speaker.
Ogni discorso era calibrato al millimetro, con l’uso ricorrente delle frasi chiave (stronger togheter/we love, Trump hates/ecc) e una precisione maniacale per il rispetto dei tempi;

2 – Se per Partito della Nazione si intende un movimento capace di parlare con tutti i gruppi sociali di un Paese senza tradire la sua collocazione originale, i Democrats hanno fatto un capolavoro; capendo che Trump ha allontanato un bel pezzo di repubblicani moderati (quelli alla Will McAvoy in Newsroom per intenderci) il partito democratico ha molto intelligentemente ribaltato i temi tipici del GOP – patria, impegno militare, liberismo economico – declinandoli all’interno di una piattaforma capace di tenere insieme Bernie Sanders e i centristi.
I cartelli e i cori “USA – USA – USA” durante gli interventi di Bloomberg e dell’ex comandante delle forze americane in Afghanistan sono un colpo politico prima ancora che uno stunt comunicativo;

3 – A otto anni dalla sconfitta contro Obama i Clinton si confermano l’architrave del partito. Sembrava impossibile ma il gruppo dirigente creato da Bill negli anni ’90 ha ancora in mano tutte le leve di comando dei Democrats.
Obama ha conquistato il Paese ma non è riuscito a strappare la “macchina” all’ex presidente. Questo approccio garantisce una certa continuità ma, sul lungo termine, potrebbe consumare un partito ancora straordinariamente vitale;

4 – Senza contare le superstar, pure gli istituzionali e i medi quadri del partito svelano una qualità politica e comunicativa superiore a buona parte dei politici europei;

5 – In America le convention dei principali partiti sono a tutti gli effetti eventi nazionali, come il Superbowl o le finals NBA, Philadelphia sembrava ospitare un festival del cinema più che un congresso di partito: sui bus campeggiava scritto “Welcome to DNC 2016” e lungo le principali vie – oltre a eventi e riunioni varie – c’erano una serie di bandiere “Philadelphia proudly welcomes the DNC”.
Non credo che in Italia sarebbe la stessa cosa calcolando che, di norma, ci spranghiamo in centri congressi più o meno anonimi;

6 – È vero, ci sono le lobby e girano un sacco di soldi ma, all’ingresso di ogni avenue ci sono affissi i nomi degli sponsor con tanto di logo e livello di finanziamento.
Questo non rende il finanziamento privato alla politica una bella cosa ma, almeno, si riscontra un certo grado di trasparenza;

7 – Le star dello show business non si limitano a interviste pelose o commenti acidi sui social: intervengono per dire la loro e regalano grandi show.
Pure qui, ci sono ovvi motivi di marketing personale ma, almeno hanno la tendenza a metterci la faccia per davvero.

Niccolò Carboni

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