5 ragioni (non sufficienti) per non votare Grillo

ROSTA (TO): BEPPE GRILLO A SOSTEGNO DEL CANDIDATO SINDACO DIMITRI DE VITA

In queste ore sui social network sta montando la polemica riguardo all’ultimo post di Quit The Doner, blog specializzato in “Musica, Filosofia, Amore e Medicine a buon prezzo” che non disdegna qualche sortita in campo politico. Stavolta, infatti, sotto la lente d’ingrandimento del blogger troviamo Beppe Grillo con il suo MoVimento 5 Stelle. Un pezzo polemico, tagliente già dal titolo: “5 buone ragioni per non votare Grillo”. Imponente la reazione dei lettori, con una larga fetta di commenti a favore delle tesi esposte. Importante anche il segno simbolico lasciato dall’autore: riunire una grande quantità di oppositori del MoVimento proprio su Internet, la roccaforte storica dei grillini, finora è stata impresa per pochi, grandi quotidiani d’opinione.

Non è però tutto oro quel che luccica: le cinque argomentazioni di Quit The Doner, su cui si è presto scatenato un dibattito acceso, non riescono a conti fatti a convincere quanto i numeri delle condivisioni sui social. Per questo provo a rispondere, servendomi dei dati e delle sensazioni emersi in questa campagna elettorale, con un articolo speculari ai cinque punti  proposti nell’originale. Perché forse, tra le 5 buone ragioni per non votare Grillo, si nascondono altrettanti errori di valutazione.

 1) L’infallibilità del capo

 Grillo in questi anni ha detto tutto e il contrario di tutto, ha distrutto sul palco dei computer poi ha esaltato la rete come panacea di tutti i mali.”

Vero, ma incompleto. Sopratutto se si calcola che Grillo si è esibito in spettacoli itineranti per anni, molto tempo prima di fondare il M5S. Se, ai tempi, il comico genovese si spendeva in aperte critiche all’informatizzazione selvaggia come strumento di potere dall’alto verso il basso, è stata l’evoluzione  open source del Web ad essere decisiva in senso opposto. Insieme a Casaleggio, il guru informatico con il quale ha ideato la piattaforma/comunità di beppegrillo.it, Grillo ha posto come basi del MoVimento la libera informazione e lo scambio d’opinione tra pari in via telematica. Qualcosa che, ai tempi (non troppo lontani) del monopolio Microsoft e del primo Internet governato dalle corporations, sembrava irrealizzabile. Per non parlare della democrazia partecipativa e delle possibilità di democrazia digitale offerte dallo sviluppo di Liquid Feedback.

Un capo infallibile? Sopratutto sul terreno della tecnologia, meglio parlare di un capo disposto a cambiare idea di fronte ad una realtà radicalmente mutata.


  • “Non siamo di destra né di sinistra” dice Grillo, ma la post-ideologia è ideologia

 

Vero. Il problema è che l’autore qui si lancia in una filippica dai contorni ben poco chiari. Seguendo il suo ragionamento, il problema dei grillini sta nella difficoltà a capire che le coalizioni di destra e di sinistra rappresentano sempre qualcuno, in base al semplice atto di ricevere un voto. Sono un operaio cassintegrato, favorevole alla liberalizzazione delle droghe leggere: se voto PdL? Bene,  allora il PdL mi rappresenta. Sono una ricca possidente terriera, odio gli immigrati: se voto SEL? Bene, allora SEL mi rappresenta. Non contento di questo strano soggettivismo storico, Quit The Doner si contraddice subito ricordandoci che la politica di destra favorisce tendenzialmente la conservazione dei privilegi delle classi alte, mentre la politica di sinistra è attenta al miglioramento delle condizioni delle classi meno abbienti. Boh.

Tornando al punto iniziale, è certamente vero che una post-ideologia sia un’ideologia. Secondo Quit The Doner, però, una post-ideologia non è abbastanza un’ideologia. Infatti secondo lui:

“esiste un bene universale e assoluto (detto talvolta verità) che la politica può e deve conseguire”.

Lasciando il povero Platone a rivoltarsi nella tomba e chiudendo un occhio sull’offesa a 2000 anni di ricerca filosofica, l’autore ha probabilmente frainteso le intenzioni di Grillo: se i partiti tradizionali spesso prendono decisioni e architettano le proprie strategie a porte chiuse, nella loro piena legittimità, il M5S propone (almeno a parole) di definire la propria condotta sulle questioni politiche chiedendo una risposta direttamente  ai cittadini, come un tramite diretto tra la volontà popolare e la (futura) azione legislativa. Qui il blogger si scatena:

“Grillo…ritiene che la verità possa essere individuata in fretta, con precisione e in maniera rigorosa e universale e che una volta fatto questo (tramite internet) debba essere imposta a tutti. Che è esattamente quello che hanno sempre inseguito i sistemi totalitari”.

In pratica, chiedere ai cittadini quale sia la linea da seguire su un determinato tema è un atto più totalitario delle decisioni prese privatamente dai dirigenti di partito. Ripetiamo in coro: boh.

3) Grillo non è un leader democratico

Beppe_Grillo_1Finalmente arriviamo al punto forte. Grillo non è democratico, di nuovo, “perché ha una sorta di infallibilità papale”, “perché ha il controllo totale del partito”, perché “ha deciso espulsioni alla prima infrazione”.

Chiariamo da subito che queste affermazioni non stanno in piedi. In ogni partito vigono regole e vi sono sperequazioni di potere. Ci sono i capi e ci sono i comuni militanti, sui quali viene esercitato un potere stabilito dallo statuto costitutivo (nei limiti concessi dalla legge). Quello di Grillo, poi, non è nemmeno un partito, ma un movimento nato su una piattaforma web: Grillo, più che un temibile generale, è un webmaster che ha stimolato la crescita di una comunità Internet e poi di un vero movimento, cresciuto fino ad arrivare in Parlamento. Gode poteri diversi rispetto a quello di un leader di partito, ma certamente non maggiori: può “bannare” i  membri che non rispettano le regole, come ogni amministratore di siti web, e stabilire particolari requisiti per l’iscrizione al proprio sito. Non è eletto, naturalmente, ma immaginiamo la situazione: se ospitaste a casa vostra le riunioni di un gruppo politico, trovereste questo un motivo sufficiente per mettere ai voti, dopo qualche anno, un futuro proprietario dell’alloggio scelto tra questi vostri amici? Probabilmente no, ma passiamo di nuovo oltre.

Un altro dato importante è che Grillo non è candidato per il Parlamento. Secondo Quit The Doner, in questo modo potrà servirsi dei propri parlamentari dietro le quinte, per raggiungere i propri scopi. Invece, non partecipando all’assemblea, il comico genovese sottolinea la limitatezza pratica della sua “guida morale” all’interno del MoVimento, lasciando la discussione legislativa e gli affari di Stato ai veri protagonisti, i parlamentari eletti dal voto popolare.

4) Il lato oscuro di Grillo e dei suoi partner impresentabili

Lo ammetto, questo è il punto più convincente. Qui l’autore fa riferimento a Casaleggio, il misterioso esperto che insieme a Grillo regge la strategia mediatica del MoVimento, e alla stampa inginocchiata al cospetto del M5S. Nel caso specifico, si riferisce all’intervista (con tanto di cuoricini e dediche) firmata da Travaglio per il Fatto Quotidiano: oltre alla battute sulla vita privata dello spin doctor Casaleggio, Grillo e Travaglio non rivelano molto d’altro sulla vera natura di questa collaborazione. Un peccato di trasparenza, che però non significa automaticamente oscurantismo e dittatura. Quanti collaboratori, spin doctor, finanziatori e oscuri lobbisti gravitano intorno ai partiti tradizionali senza che si muova foglia? Se qui è giusto contestare il silenzio del comico genovese, non bisogna però cedere al complottismo. Non è affatto appurato che Casaleggio sia un pericoloso eversivo, mentre invece resta probabile l’ipotesi di un uomo d’affari che si lega alla politica per un tornaconto personale. Un lato odioso, ma ampiamente registrato in tutte le democrazie occidentali.

5) Del militante. Ovvero dell’animo intimamente fascista del grillino

Qui l’autore comincia a sciorinare il bagaglio linguistico dell’attivista M5S: “Mandiamoli a casa tutti” e “se non voti Grillo allora chi voti?”, affermando che invece esistono alternative e che la politica non è tutta marcia come vogliono intendere i grillini. Fin qui, non fa una grinza. Poi, però, Quit The Doner mette in gioco le teorie sul potere carismatico e sulla capacità di discernimento dell’elettore del 5 Stelle. Se l’elettore di Grillo vede un nemico comune nella politica del palazzo e se si convince delle tesi del suo leader, allora deve per forza avere qualche problema nella problematizzazione della realtà. Insomma, vuole che gli sia detto cosa pensare perché non è autonomamente in grado di farlo per sé.

La scienza politica ci viene in aiuto. Perché allora – se si discute di lealtà alla causa – cosa differenzia l’attivista grillino dagli storici tesserati del PCI, ad esempio? La politica ha – e ha sempre avuto –  sostenitori accesi e votanti indecisi, sulla base delle contingenze storiche e istituzionali. Il fatto che il PD, punto di riferimento dell’intellighenzia tricolore, vanti il bacino elettorale più critico e instabile sul panorama italiano non significa che questa sia la norma.

E ancora: quale opinione ci si può fare del sostegno religioso che ha portato Obama a due mandati presidenziali negli Stati Uniti, con tanto di folle in lacrime e giuramenti pronunciati di fronte all’Altissimo?

La fede politica e la partecipazione attiva, di per sé, non sono esclusive prerogative del fascismo, come anche l’astensionismo e l’apatia non rappresentano sempre la vita di una democrazia avanzata. Il fatto che siano  tornate così di moda proprio grazie al M5S, per ora, indica principalmente il momento di crisi di fiducia nelle istituzioni da parte dell’elettorato. I fascisti lasciamoli stare.

Matteo Monaco

@twitTagli

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