5 espressioni da telecronisti che non sentivate dai tempi di 90° minuto

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Un decennio, quello dei ’90, segna più di altri il confine tra “prima” e “dopo” nel mondo pallonaro nostrano. Vi sono numerose e varie pietre miliari, le elenco così come mi vengono in mente (e chissà se la memoria e l’ordine cronologico coincidono: probabilmente no): i tre punti a vittoria, il cognome sulla schiena dei giocatori, l’addio alla numerazione canonica dall’uno all’undici. E poi l’anticipo al sabato sera, il mercoledì di coppa che si spalma su tre giorni dal martedì al giovedì, le pay TV. Prima ancora, negli anni ’80 vi era stato Berlusconi – che si era insediato alla presidenza del Milan, facendo fare un salto di qualità all’ordine di grandezza del budget da investire per avere una squadra ai vertici nazionali (e continentali, e oltre – fino alle coppe Intercontinentali giocate a Tokyo).

Al passaggio tra “calcio di una volta” al “calcio moderno” sul campo, corrisponde un’equivalente metamorfosi a livello di lessico giornalistico: Capodistria/TelePiù/Sky sono la pietra filosofale che ha permesso il passaggio da Tonino Carino da Ascoli a Massimo Marianella. Ecco un elenco di cinque espressioni, ambiti semantici o stilemi da cronaca calcistica che non sentivamo dai tempi di Paolo Valenti.

1. Frasi fatte e cliché: tiri che, nella migliore tradizione dei “quasi gol”, fanno “la barba al palo”; portieri che, grazie a prodigiosi “colpo di reni”, “smanacciano in corner”; altri che, messi in difficoltà da “traccianti” o “palombelle” partite “dallo scarpino” di punte più o meno “abuliche”, sono “bravi a parare”.

2. L’idiosincrasia per le ripetizioni, che obbligava i cronisti a manieristici sinonimi: “labronici” per livornesi; “lariani” per comaschi”; “felsinei” per bolognesi; “irpini” per avellinesi, “peloritani” per messinesi, “etnei” per catanesi (vedi “Clamoroso al Cibali”) e così via.

3. I ruoli di una volta: terzini (quello destro, per antonomasia, “arcigno”; quello sinistro più “votato all’offensiva”); mediani (metodisti, sistemisti o di copertura); stopper e liberi; gli interni, destro e sinistro; il “centrattacco”, poi diventato “centravanti” e poi diventato “(prima) punta”. E le formazioni declamate, con voce stentorea, come se fossero schierate con il modulo 2-3-5 (“Bacigalupo-Ballarin-Maroso; Castigliano-Rigamonti-Grezar; Ossola-Loik-Gabetto-Mazzola-Menti”).

4. I settori degli stadi di una volta (i “distinti”; i “popolari”; il “parterre”).

5. L’utilizzo di metafore belliche: a pochi minuti dalla fine, c’era sempre una “compagine” che “stringeva d’assedio” (rigorosamente all’imperfetto narrativo) l’”avversario”. Finché un “triplice fischio” dell’arbitro non metteva fine alle “ostilità”.

Tutto questo in ogni caso resiste, confinato in una sorta di riserva indiana immune al tempo che scorre: animate da una coriacea ribellione all’idea di estinguersi, queste parole sopravvivono nelle telecronache domenicali di Tutto il calcio minuto per minuto. E per gli amanti del genere, questa è una fortuna.

Andrea Donna 
@AndreaDonna

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