Le morti sul lavoro in Italia nel 2018 per ora si attestano a 256 unità, nel timore che il rogo di domenica ci costringa ad aggiornare presto il conto. Una morte atroce, con metallo liquido che strazia le carni di povera gente: una situazione orribile, che riporta alla mente la tragedia di Torino del 2007: anche qui un’industria pesante, anche qui dei morti (sette), anche qui la consapevolezza di una sofferenza inumana.
I quattro feriti di Padova (due gravissimi) sono scivolati in fretta nelle pagine interne dei giornali, ma l’atrocità della loro situazione impone di riaffrontare, ancora una volta, la situazione delle morti sul lavoro, che con un lemma strepitosamente depotenziante (“morti bianche”) viene sistematicamente trascurato. Come se fosse un male necessario, una tassa da pagare in termini di sangue alla produttività del sistema-Italia.
Come se fosse normale avere “qualche” morto sul lavoro.
Qualche? In un intervallo di tempo di appena quattro mesi e mezzo, 256 persone sono morte mentre stavano lavorando. Soltanto a Pasqua i morti sul lavoro erano 151, e dunque dal 1 aprile al 14 maggio (oggi) le vittime nel Paese sono state 105. Morte lavorando.
Una media di 2,4 persone al giorno. Per fare un confronto, tra il 1969 e il 1988 il terrorismo ha portato alla morte di 428 persone: quasi due decenni, noti come “Anni di Piombo”.
Nello stesso intervallo di tempo i feriti sono stati oltre 1000. L’Associazione Italiana Vittime del Terrorismo parla di un totale di 14.615 attentati compiuti, in quella che Sergio Zavoli definì – con magistrale sintesi – La Notte della Repubblica.
I dati sono stati raccolti dall’Osservatorio Indipendente Morti sul Lavoro, un’organizzazione imparziale nata 10 anni fa che monitora sia gli infortuni mortali sul luogo di lavoro che gli infortuni in itinere con esito mortale (cioè il numeri di decessi avvenuti durante il tragitto casa-lavoro).
A proposito: sommando i due dati arriviamo ad oltre 450 morti nel solo 2018; in meno di cinque mesi il numero di persone morte lavorando, recandosi al lavoro o rientrando a casa ha abbondantemente superato il numero dei caduti per terrorismo negli anni di piombo. Durante tutti gli anni di piombo.
L’INAIL negli ultimi mesi non ha più reso disponibili gli elenchi aggiornati degli infortuni mortali poiché sono in corso alcuni interventi manutentivi per adeguare il sistema ai nuovi obblighi di denuncia telematica. Tuttavia da un raffronto con i dati dell’anno scorso relativo ai primi mesi dell’anno pare che i morti sul lavoro siano in aumento rispetto al 2017. E si tratta di un trend di crescita piuttosto recente: gli infortuni mortali dal 2000 al 2016 si erano dimezzati. Nel 2017 e in questo scorcio di 2018 sono tornati a crescere.
Secondo la banca dati dell’INAIL, nel 2017 in Italia 634 persone sono morte mentre stavano lavorando.
L’INAIL ha ricevuto la bellezza di 635.433 denunce per infortuni (comprensive degli infortuni in itinere) e di 58.129 denunce di malattie professionali, cioè contratte al lavoro.
Al netto delle tendenze altalenanti, l’Osservatorio ha tracciato una linea sul decennio 2007-2017: in Italia sono morte 13.000 persone, contando morti sul lavoro e morti in itinere. Una piccola città i provincia che dal 2007 si è svuotata, con il ritmo di due/tre persone al giorno: chi cade, chi annega, chi viene tritato, schiacciato, asfissiato o arso vivo. Chi viene investito o ha un incidente.
Una mattanza.
Come avviene questo massacro di lavoratori? Circa il 20% delle vittime sono agricoltori schiacciati dal trattore, ma la categoria di lavoratori che rischia di più la vita è quella degli edili.
Nel mondo dell’edilizia, purtroppo, la normativa in materia di sicurezza è spesso largamente disapplicata: sono inaccettabilmente frequenti le morti in seguito a cadute dall’alto (tetti e impalcature).
Gli stranieri morti sono stati oltre il 10% del totale, mentre il 25% delle vittime ha più di 60 anni. Un dato molto inquietante, quest’ultimo, che ci fa pensare alla difficoltà di svolgere certe mansioni quando non si ha più un fisico giovanile e ad una normativa pensionistica che non tutela abbastanza i lavoratori anziani in alcuni settori critici, quali, appunto, quello edile.
Eppure abbiamo una Commissione parlamentare dedicata al tema degli infortuni mortali sul luogo di lavoro, da anni. E avremmo anche una legislazione in materia di sicurezza tra le più severe al mondo: il Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro (d. lgs. 81/2008) è il perno di un corpus normativo molto articolato, che prevede sanzioni penali e amministrative molto severe, spesso anche a fronte di violazioni puramente formali della normativa. Del resto, molte aziende percepiscono la normativa come un costo, un sistema di lacci e lacciuoli: le piccole aziende, spesso, non sono in regola con la normativa, non formano adeguatamente i propri dipendenti e non adottano le cautele prescritte dalla legge.
Come le grida manzoniane: pene severissime, codici articolati, procedure farraginose e puntualissime; proprio per questo, difficili da applicare. E così, in dieci anni, contiamo 13.000 morti sul lavoro, con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro che non ha soldi né mezzi sufficienti a garantire un controllo capillare.
Tredicimila morti sul lavoro in 10 anni: ripetetevelo un po’ in testa, tredicimila morti sul lavoro, e cercate di pensare a chi ha sollevato il problema come una questione di agenda politica. Qualcuno ha detto: “Tredicimila morti in 10 anni sono troppi, bisogna intervenire, è una nostra priorità”?
Tra centrodestra, centrosinistra e gente “né di destra né di sinistra”: cercate di ricordarvi se qualcuno ha mai posto la sicurezza sul lavoro come problema centrale del proprio progetto di gestione del Governo.
Non vi viene in mente nessuno?
Per forza: non c’è stato.
Irene Moccia
Umberto Mangiardi